martedì 28 aprile 2015

27. CONCLUSIONI: IL CREDENTE, L'ATEO E L'AGNOSTICO


Al termine di questo percorso di confronto e valutazione delle risposte che si sono date alle eterne domande dell’uomo - e cioè, in termini semplificati, se esista un Dio e che cosa o chi sia, se si sia rivelato all’uomo e se ci salverà dalla morte definitiva - intendo descrivere brevemente e schematicamente i possibili atteggiamenti dell’uomo nei confronti della prospettiva religiosa della vita, che tipicamente confluiscono nella forma di vita del credente in Dio, dell’ateo e dell’agnostico.
In questa descrizione si deve tener conto sia di quello che sappiamo riguardo la vita e la religione, cioè il problema della conoscenza della verità, detto aspetto gnoseologico, sia di quello che desideriamo, cioè il problema del senso della vita o della realizzazione significativa dell’uomo, detto aspetto esistenziale.
Sono due aspetti fondamentali dell’uomo, coesistenti, che però, per quanto possibile, devono essere valutati separatamente.
Accennerò poi a quelli che sono considerati le possibilità e i limiti delle posizioni del credente, dell’agnostico e dell’ateo.
È fondamentale infine tener presente che ognuna di queste tre posizioni è sostenuta, con argomenti ritenuti significativi da chi li tematizza e/o li condivide, da autorevoli teologi, filosofi o scienziati. 

Devo fare due precisazioni importanti. La prima: ovviamente non pretendo di descrivere il pensiero ed il vissuto di ogni credente o agnostico o ateo che sia, perché ognuno ha il proprio modo di pensare - nei contenuti e nella giustificabilità - e di vivere la propria fede o la propria incredulità. Mi limito a dire qualcosa in cui qualcuno si possa parzialmente rispecchiare.
La seconda: di seguito, per credente intendo, per semplificare, il teista, anzi precisamente il monoteista, e il monoteista cristiano (tipicamente inteso) - ma non si deve dimenticare che il credente può essere anche solo il deista - e quando parlo di religione, mi riferirò soprattutto al cristianesimo (ma anche qui ci sono tanti modi di concepirlo), ma con la consapevolezza che è solo una delle tante religioni esistenti, ancorché la più universale - per non parlare dei diversi modi in cui si può abbracciare una dimensione “spirituale” della vita. 

Credente

Il credente in Dio è colui che crede nell’esistenza di una “ulteriorità” rispetto alla sola forma visibile del mondo, che chiama “Dio”, e che pensa come origine e senso ultimo del tutto e della sua propria vita.
Più concretamente, il teista crede che l’uomo sia stato voluto e “creato” da un Dio, che questo Dio si sia rivelato agli uomini tramite un mediatore (se consideriamo solo i tre monoteismi: patriarchi, Mosè e profeti per l’ebraismo; Gesù, tradizionalmente inteso come “uomo e Dio” per il cristianesimo; e Maometto per l’Islam) e che il suo destino oltre la morte sarà quello della comunione eterna con Dio.

Aspetto gnoseologico

            In genere i credenti (cristiani) ritengono che sia più plausibile razionalmente l’esistenza di Dio e la verità della rivelazione (cristiana); in altri termini ritengono di avere dei buoni motivi per credere, o che sia più ragionevole credere piuttosto che non credere (non ritengono di poter dimostrare la propria fede). 
Al credente la “religione” sembra essere credibile - e quindi la speranza ad essa collegata fondata – soprattutto considerando questi argomenti (tra quelli più classici): l’idea di Dio presente nell’uomo (argomento ontologico); l’esistenza, l’ordine e la complessità dell’universo e della vita consapevole dell’uomo (argomenti cosmologico e teleologico); le numerose e attendibili “esperienze religiose” di tanti uomini di diverse culture; i sorprendenti eventi miracolosi documentati, passati e presenti; l’esigenza di Dio per fondare o giustificare pienamente la morale; l’esigenza di un  significato assoluto della vita presente in tanti uomini; il bisogno di dare senso e riscattare il troppo dolore presente nel mondo; la presenza universale della “religione” tra gli uomini; la plausibilità storica della rivelazione cristiana.
Si può riassumere la posizione del credente con l’espressione: “non sono sicuro che Dio esista e che il cristianesimo sia vero, ma lo ritengo plausibile”.  

Aspetto esistenziale

Il credente - oltre alla sua convinzione teoretica della plausibilità della prospettiva teistica della vita - è colui che cerca una dimensione “verticale” della vita, un più ampio contesto significativo della sua esistenza. È mosso dalla sua passione per l’infinito. Non vuole soffocare la sua aspirazione ad una felicità e pienezza definitive. È colui che spera giungano a compimento quei “momenti” di senso e felicità che costruisce e sperimenta già nella sua vita, perseguendo decisamente valori impegnativi come la giustizia, la solidarietà, la compassione, riassumibili nell’amore per Dio (culto) e per gli altri (donazione e servizio). Confida anche che non abbiano l’ultima parola l’ingiustizia, l’odio, il dolore, e soprattutto, la morte. Insomma, il credente spera in un senso ultimo positivo del tutto, che naturalmente, visti i limiti della vita umana, può eventualmente darsi solo in una dimensione trascendente.
            In questa scelta il credente seguirà la logica dell’investimento, del rischio, non accontentandosi del finito, di ciò che ha qui ed ora, del limitato della “vita terrena” per impegnarsi nella ricerca di una “vita spirituale” che sola potrebbe realizzarlo pienamente. Il teista pensa/spera che Dio esista e si abbandona a questa sua convinzione/speranza, perché pensa che sia realistica e che sola possa realizzarlo in pienezza.

Possibilità e limiti

Questa scelta è possibile e legittima perché la realtà è aperta a questa possibilità - la religione è inconfutabile e l’ateismo è indimostrabile - e quindi l’uomo che non si accontenta del finito può impegnarsi in questa sua vita finita seguendo la religione nella speranza di raggiungere l’infinito, di realizzarsi in modo assoluto in futuro (escatologico). (Tra parentesi: è anche possibile e legittimo che una persona che dal punto di vista gnoseologico ritenga la religione improbabile, dal punto di vista esistenziale segua la religione, perché potrebbe avere estremo bisogno di sperare in un Dio per dare senso alla sua vita, nonostante l’elevato rischio che non sia vera).
Tuttavia presenta anche dei limiti: sottolineo solo la questione del rischio: il credente impegna tutto quel che ha e che è qui - che è l’unica cosa sicura - per una inverificabile realizzazione assoluta nell’aldilà, sacrifica ad un assoluto incerto le proprie energie vitali, pur sapendo che potrebbe anche non trovare nulla e quindi sprecare anche quel poco che ha: forse non si tratterà di dare via completamente la propria vita, tuttavia non potrà impegnarsi del tutto per godere e plasmare quel che la vita qui potrebbe donargli. La vita che si vive qui è troppo preziosa per rischiarla per un’ipotetica realizzazione nell’aldilà, e poi, ancorchè relativa, può essere vissuta nell’impegno e nella pienezza, senza essere considerata vana solo perché non è assoluta.   

Ateo

L’ateo, al contrario, è colui che crede non esista questa “ulteriorità” trascendente e che il tutto coincida e si esaurisca con/in questa dimensione nient’altro che immanente.
Più concretamente l’ateo è la persona che crede che Dio non esista, che l’uomo sia solo il prodotto accidentale della natura, che tutte le religioni siano infondate, cioè costruzioni umane, e che non ci sarà alcun’altra vita oltre la morte.
Aspetto gnoseologico

In genere gli atei ritengono più plausibili razionalmente l’inesistenza di Dio e   l’infondatezza delle religioni rivelate; in altri termini ritengono di avere dei buoni motivi per non credere, o che sia più ragionevole non credere piuttosto che credere (in genere non ritengono di poter dimostrare l’inesistenza di Dio).
All’ateo la religione sembra non essere credibile - e quindi la speranza ad essa collegata infondata - soprattutto considerando: l’impossibilità di dedurre un Dio reale dalla sola idea di Dio presente nell’uomo; la probabile costituzione nient’altro che naturalistica dell’universo e dell’uomo; l’improbabilità delle esperienze religiose e dei miracoli come rivelatori della presenza e l’azione di un Essere trascendente; che Dio è facoltativo per fondare o giustificare la morale; i sospetti, e probabilmente illusori, desideri ed esigenze dell’uomo di realizzarsi al di là delle possibilità che gli sono proprie in questa vita; l’eccesso del male/dolore dell’uomo e il  corrispettivo silenzio di Dio riguardo il suo possibile senso e riscatto in una presunta dimensione trascendente; la pluralità delle religioni rivelate suggerente la loro origine umana piuttosto che divina; la verosimiglianza dell’identità nient’altro che umana del “fondatore” del cristianesimo, Gesù di Nazareth.  Si può riassumere la posizione dell’ateo con l’espressione: “non sono sicuro che Dio non esista e che il cristianesimo non sia vero, ma lo ritengo plausibile”.
Aspetto esistenziale

L’ateo – oltre alla sua convinzione teoretica della plausibilità della prospettiva ateistica della vita – è colui cui basta la dimensione “orizzontale” della vita, che si concentra su quello che può fare dentro la sua esistenza. È mosso dalla sua passione per il finito. Perseguirà un’etica per l’io, per il suo solo interesse e successo personale, impegnandosi del tutto per godere e plasmare quel che la vita qui può donargli, o anche un’etica per il tu, per la solidarietà, implicante anche il sacrificio per l’altro. Si accontenta della sua dimensione finita, con tutti i suoi aspetti crudeli e stupendi; si prende tutta la responsabilità di dare un senso alla sua vita dando senso alle piccole cose; “non crede che per vivere pienamente sia necessario durare eternamente, né che la felicità, l’amore o il pensiero perdano valore perché finiscono”.
In questa scelta l’ateo seguirà la logica della moderazione, accontentandosi del finito, di ciò che ha qui ed ora, impegnandosi a ricavare il massimo e a godere di tutto quanto gli è possibile qui ed ora, o anche aiutando gli altri, ma comunque non sprecando tempo ed energie alla ricerca di una eventuale realizzazione assoluta ma incerta. L’ateo non spera in Dio, perché pensa che sia una speranza illusoria ed eventualmente perché pensa che possa realizzarsi anche senza Dio. 

Possibilità e limiti

Questa scelta è possibile e legittima perché la realtà è aperta a questa possibilità – la religione è indimostrabile e l’ateismo è inconfutabile - e quindi non si è obbligati a seguire la religione impegnandosi per essa col rischio che sia tutto vano, illusorio, ovvero che non si raggiunga la realizzazione ultramondana sperata. (Tra parentesi: è anche possibile e legittimo che una persona che dal punto di vista gnoseologico ritiene la religione probabile, dal punto di vista esistenziale abbracci l’ateismo, perché per seguire la religione potrebbe pretendere la certezza sulla sua verità, e non la sola probabilità, per non rischiare nulla nel seguirla).
Tuttavia presenta anche dei limiti: sottolineo solo la questione di quanto sia relativa la realizzazione solamente intramondana dell’uomo: questa vita, da sola, è limitata ad un’avventura a momenti piacevole ed altri spiacevole, destinata a finire nel nulla tra qualche decina di anni. Se si tiene conto del desiderio di molti di realizzarsi in qualcosa di più grande, di assoluto, di definitivo, allora diventa accettabile affrontare un cammino fatto di profondi e importanti valori umani, che rendono la vita più piena già qui, cammino impegnativo ed incerto, ma aperto ad una possibilità di infinità di vita, di gioia, di amore, che dice che vale la pena rischiare. E’ sicuramente più importante quello che si potrebbe trovare se la religione fosse vera - infinito - che quello che si potrebbe perdere se la religione fosse falsa - finito. 

Agnostico

L’agnostico è colui che non sa se credere o meno ad una “ulteriorità” che trascende il mondo fisico, chiamata “Dio”. Più concretamente è la persona che crede di non poter credere né che Dio esista né che non esista, né che qualche religione sia vera né che sia infondata, né che dopo la morte ci sia la vita eterna né che non ci sia nulla. 

Aspetto gnoseologico

Per gli agnostici non sembra possibile determinare se la “religione” sia credibile o non credibile, ovvero sembra loro risultare indecidibile la questione sulla sua verità - e quindi la speranza ad essa collegata semplicemente possibile – soprattutto considerando: l’incertezza se l’idea di Dio presente nell’uomo, e l’esistenza, ordine e complessità dell’universo siano indicatori attendibili della reale esistenza di Dio; l’ambiguità delle esperienze religiose e dei miracoli verificatesi; il dubbio se l’esigenza di un significato assoluto della vita e il bisogno di riscattare il dolore del mondo saranno soddisfatti; l’incertezza se la presenza universale della “religione” tra gli uomini sia prova della verità della “religione” stessa; l’indeterminabilità della verità della rivelazione cristiana.
Si può riassumere la posizione dell’agnostico con l’espressione: “non so se Dio esista o non esista, né se la religione sia vera o no, perciò mi astengo dal prendere posizione”.  

Aspetto esistenziale

A questa posizione teoretica dell’agnosticismo, possono seguire tre posizioni esistenziali diverse tra loro: la prima, quella propriamente agnostica; la seconda, aperta alla fede (tendente alla credenza); la terza, chiusa alla fede (tendente all’incredulità).
Nella prima, che idealmente si mantiene ad uguale distanza dal credere e dal non credere,  la persona seguirà una via intermedia, tenendo conto che la “religione” può essere vera - e quindi parzialmente si impegnerà per seguirla sperando nella sua promessa di una realizzazione ultramondana - ma che può anche essere falsa – e quindi si impegnerà anche per una realizzazione intramondana, qui ed ora. Si tratterebbe, per così dire, di vivere impegnandosi sulla e per la “terra”, e insieme di impegnarsi e di investire anche nel “cielo”. In altri termini, sarebbe un investimento moderato nella “religione”.

Possibilità e limiti

Questa scelta è possibile e legittima perché rispecchia l’incertezza della nostra conoscenza sugli argomenti religiosi – dove non sembra possibile stabilire oggettivamente se sia più plausibile l’esistenza o non esistenza di Dio, se si sia rivelato oppure no, se ci salverà dalla morte oppure no - e non fa assumere atteggiamenti unilaterali come se si sapesse se la religione fosse vera o falsa, quando invece in realtà il nostro sapere al riguardo rimane, appunto, indeterminato.
            Tuttavia presenta dei limiti: se può sembrare l’atteggiamento più adeguato rispetto ai dati che abbiamo da un punto di vista teoretico, potrebbe essere difficile da mantenere coerentemente in pratica. Si potrebbe facilmente scivolare in una della due posizioni più definite, abbracciando o non abbracciando la “religione”, poiché potrebbe essere problematico determinare cosa concretamente significhi mantenere una posizione intermedia nelle scelte quotidiane tra valori conflittuali.              

Nella seconda posizione esistenziale, aperta nei confronti della fede religiosa, la persona, nonostante sia consapevole della incapacità della ragione di appoggiare la propria fede, spera o confida che Dio esista. Qui la persona si confonde praticamente con il credente descritto sopra, anche se teoreticamente è meno “convinto” della sua credenza in Dio. È il suo bisogno di credere in Dio, è la sua passione per l’infinito, che determinano la sua forma di vita di credente, piuttosto che le sua dimensione intellettuale. 

Nella terza, chiusa alla fede, la persona, nonostante sia consapevole dell’incapacità della ragione di sostenere la propria incredulità, spera (o è comunque convinta) che Dio non esista. Qui la persona si confonde praticamente con l’ateo descritto sopra, anche se teoreticamente è meno “convinto” della sua incredulità. È il suo bisogno di non credere in Dio, è la sua passione per il finito, che determinano la sua forma di vita di non credente, piuttosto che le sua dimensione intellettuale. 

Considerazioni finali 

Da quanto emerso si possono trarre queste considerazioni. Nessuno può dire di essere in possesso della verità assoluta sull’uomo e sul “problema di Dio” (che possa “insegnare” agli altri). Non ci sono prove empiriche o dimostrazioni logiche a sostegno o contro la “religiosità”. Non ci sono evidenze di nessun genere.
Il dibattito filosofico, scientifico e storico intorno alla “questione di Dio” e della “religione” è ancor oggi acceso e sconfinato (dopo secoli di discussioni), gli argomenti pro e contro in perenne conflitto, e le domande aperte molto più numerose delle possibili risposte raggiunte. Pertanto, non c’è dubbio che religiosità e ateismo siano entrambi indimostrabili e inconfutabili. Piuttosto, le opinioni divergono in merito alla plausibilità o meno, che ognuno assegna all’una o all’altra visione del mondo. Da qui l’esistenza dei credenti, degli atei e degli agnostici.
Di conseguenza, visto che altri uomini come noi - colti, intelligenti e in buona fede come pretendiamo di essere noi - la pensano diversamente o addirittura all’opposto di noi, dovremmo persuaderci che, malgrado le nostre convinzioni, potremmo alla fine sbagliarci. Dobbiamo essere ben consapevoli che, qualunque sia la nostra posizione - del credente, dell’agnostico o dell’ateo – altre due posizioni diverse dalla nostra sono certamente possibili e sostenute da persone dignitose quanto noi. Noi certo non le riteniamo ragionevoli come la nostra, ma quantomeno non dovremmo ritenerle impossibili. Gli altri hanno altre ragioni, le loro ragioni, vedono sotto altri punti di vista lo stesso problema, danno peso ad aspetti che noi riteniamo secondari o superabili; ma è ben difficile che le loro ragioni ci siano completamente estranee o incomprensibili.
È quindi probabilmente vero, per stessa ammissione di alcuni rappresentanti autorevoli del pensiero credente e non credente, che ogni uomo che riflette consapevolmente su questi temi, porta dentro sé entrambe le posizioni, religiose e non religiose, sopradescritte. Ognuno vivrebbe, in diversa misura e in diversi momenti della sua vita, la fede, il dubbio e l’incredulità.
Questo perché credere non è possesso, o garanzia o sicurezza umane, bensì abbandono e rischio. Perché anche il credente sa che, dopo tutto, “forse è proprio vero che Dio non esiste”.
E, d’altra parte, anche l’incredulità  non si appoggia su una certezza assoluta. Perché anche il non credente sa che, dopo tutto, “forse è proprio vero che Dio esiste”.
Per tutti sarebbero presenti, poco o tanto, la lotta e la ricerca: la lotta del credente contro il dubbio e l’incredulità, e la lotta del non credente contro il dubbio e la credenza; la ricerca di entrambi per amore della verità, per avere nuove conferme alle proprie posizioni o per rivalutarle. Ancora per entrambi, la consapevolezza del rischio, piuttosto che una pace e una sicurezza incrollabile e stabile, acquisita una volta per tutte.
Pertanto il rispetto, la tolleranza ed il dialogo con chi la pensa diversamente da noi dovrebbero essere atteggiamenti doverosi, anzi normali. Anche perché ci possiamo avvicinare alla verità solo col contributo di tutti, nel cammino e nel confronto con l’altro.
Per concludere, allora, la scelta se essere credente, ateo o agnostico, è una scelta di tipo personale o soggettivo, che ogni uomo, vivendo, deve compiere. Infatti sulle questioni ultime della vita non disponiamo di soluzioni pronte: il dibattito non solo è in corso da tempi remoti, ma verosimilmente proseguirà finchè esisterà l’uomo; quindi, da un punto di vista razionale, si dovrebbe posporre la nostra decisione ad oltranza, senza mai assumere una posizione razionale definita, dal momento che potrebbero sempre emergere ulteriori dati e interpretazioni, in qualunque direzione. Ma la vita è breve. Da qui la necessità di una appropriazione di tipo personale, di una decisione a carattere esistenziale, da fare in mancanza di evidenze, ma, almeno, nel modo più consapevole ed equilibrato possibile.
Per questo credo che la ricerca di noi stessi - di quel che siamo, della nostra natura, e quindi la ricerca di Dio - fatta con lucidità e consapevolezza - secondo le nostre personali possibilità e capacità - qualunque sia l’esisto, sia una delle attività che manifesta più eloquentemente la dignità dell’uomo. In questa decisione ognuno deve tener conto sia di quello che è arrivato a conoscere in ordine a queste tematiche filosofico-religiose, sia di quello che spera, a cui aspira, per la realizzazione della sua propria esistenza. Perché alla fine, quel che più conta, è la nostra dignità, e la nostra dignità dipende da come ci siamo posti davanti alla realtà di noi stessi, degli altri, del mondo e all'idea di “Dio”; dipende cioè dalla nostra autenticità e onestà, intellettuale ed esistenziale, e dalla nostra coerenza nella vita con quella verità che nel cammino della nostra ricerca ed esperienza, siamo riusciti a concepire e a raggiungere.  







1 commento:

  1. complimenti e grazie per il tuo ottimo e incredibile lavoro, ciao Ivo

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