mercoledì 15 aprile 2015

15. INDUISMO


L’induismo è la principale religione degli indiani, ma vi sono molti induisti anche in Nepal, in Bangladesh e nello Sri Lanka. Ai giorni nostri gli induisti rappresentano circa l’80% della popolazione indiana (i musulmani il 10% mentre il 4% è di fede cristiana). L’induismo, a differenza delle altre grandi religioni (buddhismo, cristianesimo e Islam) non ha fondatori, né un’organizzazione o una dottrina codificate. Esso si pone come la religione eterna ed è caratterizzato dal suo grande quasi sconcertante eclettismo e dalla sua disponibilità ad aver sempre assorbito, nel corso della storia, nuove ispirazioni e nuove forme di espressione religiose.
Le radici dell’induismo si possono collocare tra il 2000 e il 1500 a.C., quando gli ariani (i nobili) giunsero dal nord nella valle dell’Indo. La religione di questo popolo aveva affinità con altre religioni indoeuropee, come per esempio la greca e la romana. Noi la conosciamo grazie agli inni dei Veda che venivano recitati dai sacerdoti in occasione dei sacrifici ai numerosi dèi. I testi dei Veda sono divisi in quattro raccolte, parte dei quali risalgono al 1500 a.C. circa.
Gli indù credono che l’insieme del Veda sia increato: sarebbe la parola pronunciata dall’Assoluto da sempre e “udita” o “memorizzata” dagli antichi saggi.
Ritrovamenti archeologici nella valle dell’Indo testimoniano un alto grado di civilizzazione anche prima dell’immigrazione indoeuropea, e non v’è dubbio che anche questa civiltà preesistente abbia contribuito alla formazione dell’induismo, così come lo conosciamo oggi. Il periodo cosiddetto vedico-antico (dal 1000 al 500 a.C. circa) è stato un momento centrale nello sviluppo religioso degli indiani. Speciale importanza hanno rivestito le Upanishad, i testi più letti dagli induisti, allora come oggi. Sono commentari mistico-filosofico-religiosi al testo dei Veda, in forma di dialogo tra maestro e allievo, e definiscono il concetto di brahman, la forza spirituale primordiale che sta alla base di tutto l’universo.
 L’Induismo costituisce oggi una variegata moltitudine di forme di culto. Tre elementi tuttavia sembrano unire tutti gli indù: la casta, la vacca sacra e il karma.

La teoria che l’uomo possieda un’anima immortale è il centro della filosofia delle Upanishad. Un indù crede che l’anima dopo la morte si reincarni in un altro essere vivente (un individuo di casta superiore o inferiore o un animale). Nel ciclo della reincarnazione si passa da un’esistenza all’altra con costanza inesorabile dovuta al karma (azione) in base alla cui legge tutte le azioni hanno delle conseguenze che perdurano anche dopo la morte e costituiscono la base dell’esistenza successiva. Non viene riconosciuto alcun destino cieco o provvidenza divina: ognuno è il solo e unico responsabile della sua vita presente e di quella successiva (della povertà o ricchezza, della gioia o del dolore, della buona o della cattiva salute).

Nell’induismo ci sono tre dottrine della salvezza che si possono seguire per liberarsi dal ciclo eterno della reincarnazione:
- la via delle cerimonie sacrificali: attraverso le offerte di sacrifici e le buone azioni;
-la via della conoscenza: l’uomo è legato al ciclo eterno delle reincarnazioni dall’ignoranza, mentre la via alla salvezza è costituita dalla comprensione della vera natura dell’esistenza. Si è salvi quando si acquisisce la consapevolezza che l’anima dell’uomo (atman) è una cosa sola con l’anima del mondo (brahman); il fine è quello di ricongiungersi a brahman: nell’uomo vi è una scintilla divina, e anche se l’uomo come individuo viene annullato, ciò che in esso è di origine divina si conserva per riunirsi all’anima del mondo;
- infine, la via dell’abbandono: non attraverso le offerte sacrificali ma attraverso l’ascesi l’uomo potrà sopprimere l’intero  karma e sottrarsi al ciclo eterno: la bhagavadgita propone un rapporto con Dio più personale di quello descritto dai Veda, caratterizzato dall’amore e dall’abbandono dell’uomo a Dio (non escludendo completamente le cerimonie della tradizione).

L’induismo più filosofico ha una concezione panteistica: la divinità non ha un’entità personale ma è una potenza che pervade tutto, oggetti, animali, uomini. All’estremo opposto troviamo una concezione politeista, caratterizzata dalla fede in una grande quantità di dèi, tra cui i più adorati sono  Vishnu (nella duplice manifestazione di Rama e Krishna, quest’ultimo adorato come un onnipresente re del mondo) e Shiva (il dio dello yoga). A ciascuno è lasciata la libertà di adorare Dio in questa o quella forma. Nelle speculazioni erudite, Vishnu e Shiva sono spesso concepiti assieme al Dio Brama come una trinità: Brama è il creatore, che dà forma al mondo; Vishnu è colui che conserva le leggi di natura e l’ordine del creato, e Shiva è il distruttore che alla fine di ogni epoca demolisce il mondo il quale poi sarà ricreato da Brama. 


Considerazioni sulla credibilità teologica 

Intorno alla natura delle sacre scritture indù, anche se questi credono che i Veda siano stati trasmessi dall’Assoluto agli antichi saggi, certamente questo non si può verificare né ritenerlo verosimile: si può pensare che la formazione e il contenuto di questi testi rispecchino piuttosto la ricerca del divino da parte dell’uomo, intuito in se stessi e nel mondo, con tutte le opportunità ma anche incertezze che questo comporta. Dire poi che sarebbe Dio stesso a parlare nell’invocazione e nella preghiera dell’uomo, e che quindi la stessa ricerca umana di Dio sarebbe resa possibile da Dio stesso, e sarebbe quindi risposta ad una iniziativa divina, appare anche questa solo un’affermazione di fede, lontana dal poter essere giustificabile razionalmente.
Riguardo poi all’esistenza di un “anima” o “dio” del mondo (comunque lo si voglia intendere) e di un’anima individuale, come della loro relazione ontologica, non si dà evidenza alcuna, né per via razionale né per esperienza oggettiva, e rimane pertanto congetturale.
       Una certezza tanto forte, quanto quella della risurrezione per i cristiani, la nutrono gli indù per quanto riguarda l’aldilà, nella forma dell’esistenza di vite successive, la reincarnazione. Questa è credenza comune ad alcune tradizioni orientali, induismo e buddismo, e, nella tradizione greca, all’orfismo, a Pitagora e Platone. La società teosofica, le cerchie spiritistiche e occultiste ne hanno sviluppato un modello occidentale all’inizio del secolo XX; tale modello oggi è molto diffuso (che comunque ha un orientamento diverso dal modello orientale e greco). Ma la reincarnazione non è soggetta a prove scientifiche, come non lo è la fede cristiana nella resurrezione dei corpi. Le presunte prove in suo favore pretendono di fondarsi da una parte su una memoria psichica o su tracce fisiche di vite anteriori; dall’altra sulla comunicazione sperimentale con spiriti “disincarnati” in attesa di reincarnazione. Non si può negare l’esistenza di “ricordi” che l’esperienza del soggetto non sembra spiegare nella sua attuale esistenza. Tuttavia, l’ipotesi di una vita anteriore, formulata per rendere conto di tali ricordi, è solo un’ipotesi tra le altre. L’attribuzione di particolarità fisiologiche di nascita a una vita precedente è ancor più dubbia. Di simili fenomeni esistono altre spiegazioni più plausibili. D’altronde, se vi sono fatti ancora inspiegabili nello stato attuale della scienza, l’ipotesi della reincarnazione come spiegazione, per quanto possa essere legittima, non si può definire scientificamente provata. Essa è solo oggetto di credenza, di fede (J. Dupuis). La configurazione poi dell’immortalità beatificante nel tutto per l’indù non è conseguibile se non a prezzo della dissoluzione della propria soggettività e questo (anche se per l’animo indù non è una perdita rilevante) potrebbe apparire a molti come un traguardo poco attraente. (L’argomento della reincarnazione verrà comunque più ampiamente trattato nell’articolo sul destino dell’uomo).

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