domenica 12 aprile 2015

12. LE RELIGIONI DEI POPOLI TRIBALI E QUELLE DEL MONDO ANTICO



Le religioni dei popoli tribali (o etniche)

Simili ma non assimilabili alle religioni della preistoria sembrano essere le religioni dei popoli tribali o etniche ancora esistenti. Sfidando il tempo e le civiltà sono giunte fino a noi, sebbene sussistano in una condizione precaria; esse sono ancora diffuse in molte parti del mondo, ma in via di forte riduzione numerica. In particolare si possono ricordare le religioni dell’Africa Nera, degli Indiani d’America e quelle indigene dell’America meridionale, dei popoli artici e di quelli altaici della Siberia, delle popolazioni aborigene dell’Oceania.
Le credenze e i riti di questi popoli e di queste culture sono estremamente variegati e non sempre di facile interpretazione; la vicinanza ormai abituale con altre culture ha recentemente introdotto varianti difficilmente valutabili. Resta aperto il problema di quale ruolo giochi e quanto importante sia la religione nella vita di una tribù, sebbene per lo più si riconosca che essa è onnipresente; ma questa ampiezza potrebbe anche diluirsi in una mera funzionalità culturale. In ogni caso, per semplificare, si può ipotizzare quanto già detto per la configurazione delle religioni preistoriche: tratto comune delle religioni tribali sembra essere l’estensione della sacralizzazione al regno naturale e la credenza in un essere supremo, variamente denominato e configurato, assieme ad altre divinità minori.  

Considerazioni sulla credibilità teologica: vale quanto detto sul sorgere e sulla natura del fenomeno religioso: non possiamo sapere se le religioni dei popoli tribali siano solo una proiezione o un prodotto culturale dei bisogni esistenziali e sociali di individui, oppure siano radicate nell’esperienza o nell’incontro, non meglio tematizzabili,  con un divino realmente esistente. 

Le religioni del mondo antico

Le religioni del mondo antico - quelle nell’area mesopotamica e vicino-orientale, in Egitto, nell’Iran prezoroastriano, quelle degli indoeuropei, della Grecia antica, dei Celti e dei Germani, della Roma antica, dell’età ellenistico-romana, e le grandi religioni dell’America precolombiana - si presentano come politeismi (gli déi sono organizzati in un sistema), non hanno aspirazioni universalistiche né si presentano come “religioni del libro” (in seguito parleremo dell’”eccezione” di Israele). Questi universi religiosi si estendono dalla Mesopotamia a tutto il bacino del Mediterraneo sino all’Europa centrale e settentrionale, e America centrale, per un arco di tempo che è possibile far decollare dalla fine del IV o dall’inizio del III millennio a.C. e che si può far concludere nel 380 d.C. (quando la religione cristiana viene proclamata religione di Stato). Quindi è un fenomeno assai recente se si considerano i tanti millenni delle culture primitive.
Tra gli aspetti che qualificano la concezione politeistica la prima caratteristica è costituita dalla dimensione personale del sacro: le varie divinità non sono simboli di una potenza divina anonima ma costituiscono veri e propri déi con prerogative, nomi e poteri ben individualizzati. Sia che gli déi vengano raffigurati sotto sembianze umane, sia vengano visti incarnatisi in realtà di ordine inorganico, vegetale o animale, sono considerati come dotati di individualità propria, capaci di intrattenere un dialogo interpersonale con il credente. Come tali sono oggetto di culto a cui tengono e di cui sono coscienti. Sono portatori di poteri particolari che elargiscono in maniera consapevole e libera. Ciò non esclude che convivano talvolta con entità dalle caratteristiche antitetiche: forze misteriose ed impersonali si pongono talora accanto, talora al di sopra degli stessi dei (ad es. la moira greca o il fatum romano).
La seconda caratteristica che qualifica la concezione politeista è costituita dal fatto che gli déi sono gerarchicamente ordinati fino a costituire un vero e proprio pantheon, vale a dire una specie di società o città celeste. All’interno del pantheon gli déi sono subordinati ad un dio supremo che è però dello stesso ordine  e grado delle altre divinità. Zeus in Grecia, Giove a Roma, Marduk in Babilonia, Odino presso i Germani, Ra in contesto egizio, Tonacatecutli, Itzamma, Inti, rispettivamente presso Aztechi, Maya, Incas, sono primi tra pari, non già divinità superiori.

La terza caratteristica è costituita dalla dimensione cosmomorfica, zoomorfica ed antropomorfica degli déi pagani: le varie divinità vengono rappresentate attraverso forme desunte dal mondo della natura, degli animali e dell’uomo. L’analogia include differenziazioni sessuali (divinità maschili e femminili), prerogative, pregi, virtù ma anche vizi  e difetti delle realtà cui rimandano. Tale tendenza alla raffigurazione è stata interpretata o come espressione di trascendenza (nel senso che se nessuna immagine può esaurire il divino allora tanto vale moltiplicarle all’infinito ed ogni dio verrebbe ad esaltare ogni aspetto della divinità) oppure sarebbe segno della vicinanza salvifica con cui sono sentiti e vissuti dal credente (la persuasione che la divinità sia in grado di sopperire ai più diversi bisogni della vita, da quelli del singolo a quelli della nazione, determinerebbe il bisogno di moltiplicarne le raffigurazioni in modo da averne pronto uno per ogni necessità).
I popoli politeisti del mondo antico non separavano e non distinguevano propriamente la dimensione religiosa dal complesso delle altre attività umane e sociali, che anzi ne erano pervase e legittimate. I fattori che hanno portato al sorgere di concezioni politeistiche sono numerosi, di natura sia interna alla storia stessa delle idee e credenze religiose (come sviluppi delle credenze di tipo panteistico, mutamento di culti locali, sostantivizzazione di determinate qualità del mondo divino che assurgono a realtà autonoma) sia esterna (in particolare di tipo politico). Controparte simmetrica e fondante dello stato, gli dèi dei sistemi politeistici sono infatti chiamati a fondare e regolare un cosmo che è sì naturale – funzioni di divinità iraniche, meteorologiche, solari o lunari, del firmamento, della terra - ma in cui ormai le forze della natura collaborano e cooperano a sostenere la vita stessa dello stato – divinità della protezione e della guerra, della fertilità e della prosperità, della cultura, delle arti e della tecnologia, della conoscenza esoterica e della magia.  

Considerazioni sulla credibilità teologica: una prima considerazione riguarda la concezione degli déi: anche se nella religiosità politeista è presente la dimensione di trascendenza (dal momento che gli déi risultano realtà veramente superiori, irriducibili all’ambito del puro profano, del temporale, dell’umano, del cosmico, del naturale), caratteristica che non era sempre presente o in modo ambiguo nelle religioni primitive, tuttavia gli antichi pagani erano ancora incapaci di vedere riassunte in un unico Dio il plesso delle perfezioni che competono alla divinità, e se questo è considerato una prerogativa importante per una matura raffigurazione del divino, allora qui ne siamo ancora lontani. Così per l’aspetto della vicinanza salvifica: è sì presente, e sotto forma di divinità vicine alla vita dell’uomo, ma esseri divini che ricalcano virtù e vizi dell’uomo non possono però farsi garanti se non di una salvezza modesta di poco al di sopra della portata dell’uomo. La rappresentazione politeistica della divinità rivela lacune e manchevolezze non insignificanti. Inoltre il rispecchiamento della struttura della società da parte del pantheon divino fa emergere quantomeno il sospetto che si è in presenza dello sforzo umano di rappresentarsi il mondo divino in figura del mondo umano, il che porterebbe alla conclusione che il mondo divino sia tutta e sola invenzione umana. Una seconda considerazione può riguardare il destino di tutti questi déi: cosa ne è stato di Iside, Amon ra, Baal, Melek, Astarte, Osiride, Hadad e tantissimi altri déi, un tempo della massima importanza, cinque o seimila anni fa venerati e seguiti da milioni di persone? Molti di loro sono menzionati con paura e tremore anche nell’Antico Testamento. Erano onnipotenti, onniscienti e immortali, e sono morti. Si può anche pensare che sia stato il senso della propria indigenza radicale, di un impellente bisogno di salvezza che abbia spinto tanti individui del passato a dare corpo ad indefinite raffigurazioni della divinità, ma questo ci riporta al problema se al bisogno di salvezza dell’uomo corrisponda una salvezza reale (vedi le “vie antropologiche a Dio”).

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