mercoledì 22 aprile 2015

22. Origini dell'ISLAM


L’Islam nasce in Arabia ed è tuttora strettamente connesso alla cultura araba, anche se soltanto una minoranza dei musulmani d’oggi sono arabi. E’ diffuso in varie regioni dell’Asia e dell’Africa, e ne fa parte circa un sesto della popolazione mondiale. A tutt’oggi è la seconda religione del mondo, dopo il cristianesimo.  

Profilo storico 

L’origine dell’Islam si fa risalire a Maometto (570 circa – 632). Quattro sono fondamentalmente le fonti storiche che forniscono notizie biografiche su Maometto: 1. il Corano, che però è piuttosto scarno e allusivo sugli eventi della sua vita prima della rivelazione; 2. la Sira (“biografia”) , che non ci è pervenuta nella stesura originale di Ibn Ishak (m. 767) ma nella rielaborazione di Ibn Hisham (m. 883), 3. i “detti” e “fatti” di Maometto raccolti negli Hadith (racconti), e 4. la storia dell’Islam nelle storie universali (fondamentale è quella di al-Tabari, m. 923).
Maometto nacque vicino a la Mecca, fiorente città mercantile. Rimase orfano da bambino e fu preso sotto la tutela dello zio, Abu Talib, che influenzò in modo significativo la vita del giovane nipote. Grazie allo zio, Maometto venne assunto come capo carovana della ricca vedova di un mercante, che, a venticinque anni, sposò. La Mecca non era soltanto un importante centro commerciale, ma anche religioso: sia in città sia tra le tribù dei beduini si era diffuso il culto degli dèi ed entità soprannaturali (spesso si trattava di divinità tribali, poiché la tribù e la discendenza erano alla base del sistema di vita nomade). Quando nelle comunità si attenuò il nomadismo a favore di una maggiore sedentarietà cominciò a crescere l’influenza delle due grandi religioni, l’ebraismo e il cristianesimo, presenti in Arabia.
            Maometto ogni anno si ritirava in una grotta del Monte Hira, fuori città a meditare. All’età di quarant’anni, mentre meditava avrebbe avuto una visione: gli sarebbe apparso l’arcangelo Gabriele che gli avrebbe manifestato delle rivelazioni divine. Il Corano è dunque la raccolta delle rivelazioni ricevute da Maometto nel corso degli anni successivi, e costituisce il testo sacro dei musulmani (vengono poi gli “hadith”, raccolte di narrazioni relative a detti e fatti del profeta, guida ufficiale per tutti gli aspetti della vita quotidiana dei musulmani).
Maometto sarebbe dunque il mediatore e l’annunciatore della rivelazione di Dio agli uomini. Dopo le prime rivelazioni Maometto cominciò a predicare pubblicamente alla Mecca. Temendo le ripercussioni economiche della predicazione monoteistica di Maometto contro le divinità onorate dai pellegrini del famoso santuario centrale della Mecca (la kaba), i potenti della città lo perseguitarono insieme ai suoi seguaci, boicottando economicamente il suo clan. Dopo la morte dello zio e della moglie, la situazione alla Mecca divenne sempre più difficile, mentre i numerosi adepti della città di Medina si dichiararono pronti ad accoglierlo presso di loro. Così nel 622 giunse a Medina, dove divenne presto un leader non solo religioso ma anche politico. Gli assalti alle carovane dirette alla Mecca gli prepararono una solida base economica. Allo stesso tempo lottava anche per la conquista del potere alla Mecca, e quindi per l’accesso al santuario della kaba. La sua era anche una battaglia per diffondere la nuova religione. La guerra in nome di Allah era più importante di qualsiasi altro principio morale e religioso. Nel corso dei dieci anni successivi Maometto conquistò la Mecca, e con la guerra o con azioni diplomatiche, riunì sotto il suo potere vaste regioni dell’Arabia. Prima della sua morte aveva unificato il paese in un solo vasto regno sulla base di vincoli religiosi che erano diventati più importanti degli antichi legami di discendenza e di tribù.
            Dopo la morte del profeta, la guida spirituale e politica della maggioranza dei musulmani fu assunta da una linea di successione di califfi ovvero “rappresentanti” di Maometto. Nonostante la spaccatura interna (più che per controversie religiose era per la diatriba su chi dovesse detenere il potere: nacque la scissione tra shiiti e sunniti), l’Islam si diffuse molto in fretta. Nel secolo successivo alla morte di Maometto i conquistatori arabi si spinsero dal nord Africa all’Europa attraverso lo stretto di Gibilterra, e si arrestò in Francia. Per molti secoli gli arabi dominarono la regione meridionale della penisola iberica dove ancora oggi permangono tracce della loro cultura. Fino ai nostri giorni l’Islam è stata la religione dominante nel nord Africa, nonostante il colonialismo europeo del secolo scorso; da qui l’Islam si è poi diffuso in vaste regioni dell’Africa occidentale e orientale; arrivò anche in India e in Indonesia. 

Aspetti contenutistici 

            La dottrina religiosa islamica è riassunta nella sintetica professione di fede: “Non c’è altro Dio al di fuori di Allah, e Maometto è il suo profeta”. Monoteismo e rivelazione di Maometto costituiscono l’essenza della fede islamica.
            Monoteismo: Maometto rifiutò categoricamente il politeismo arabo, e predicò invece la fede in un solo Dio (anche se questo in realtà è avvenuto gradualmente). Dio è creatore e giudice: ha creato il mondo e tutto ciò che esiste e nell’ultimo giorno risveglierà tutti i morti e li giudicherà. Non vi è alcun divieto nell’Islam di godere le gioie della vita terrena, ma non si deve dimenticare che la fase terrena non è che una preparazione alla vita che comincerà dopo il giudizio di Dio. Questa vita, all’inferno o al paradiso, è descritta in dettaglio nel Corano; se la si debba interpretare in senso letterale o figurato, è una questione aperta e tutt’ora dibattuta. La credenza in un giudizio dopo la morte è importante per molti arabi per sancire un dovere morale per il buon funzionamento della società. Dio però oltre che giudice è anche amorevole e misericordioso. Anche se Dio esige la sottomissione, Egli è anche colui che perdona e aiuta gli uomini. L’uomo non può vantare meriti di fronte a Dio; non può invocare giustizia. Salvezza e fede sono una grazia di Dio in cui è dato solo sperare.
            Rivelazione: Dio avrebbe dunque comunicato la sua parola agli uomini attraverso il suo profeta Maometto. Maometto è stato l’ultimo di una lunga seria di profeti che Dio ha inviato sulla terra: Adamo, Abramo, Mosè, Davide, Gesù. La rivelazione islamica si pone dunque in continuità con l’esperienza profetica degli uomini dell’A.T. e con la stessa esperienza di Gesù (considerato l’immediato predecessore di Maometto). Semmai la rivelazione di Dio è giunta con Maometto alla perfezione. Inizialmente Maometto si considerava appartenente alle tradizioni giudaica e cristiana, ma in seguito prese le distanze da entrambe. L’attacco più duro al cristianesimo da parte di Maometto riguarda il concetto di trinità, che il profeta ha considerato come una forma di politeismo. Dal Corano Gesù è definito come il Messia figlio di Maria (3,45), da lei concepito per intervento divino (21,9) e inviato di Dio. Gli sono anche attribuiti miracoli ma il Corano nega esplicitamente che egli fosse Dio (5,17) o figlio di Dio (4,171; 9,30) e facente parte della trinità (4,171; 5,73).
            I doveri religiosi dei musulmani si riassumono solitamente nei cinque pilastri:
professione di fede, preghiera, digiuno, elemosina, pellegrinaggio alla Mecca. Tutti sono prescritti dal Corano, ma nessuno vi è prescritto dettagliatamente. Per quanto riguarda le esatte modalità dell’osservanza, vi sono differenze fra sunniti e sciiti, e fra le quattro scuole giuridiche.
Tradizionalmente l’Islam non distingue tra religione e politica, tra fede e morale. I doveri religiosi, morali e sociali degli uomini sono tutti stabiliti nella legge sacra dei musulmani, shari’a.  Questa è contenuta nel Corano, che è molto di più di un testo sacro, perché è anche un codice di regole e istruzioni per la gestione della società, dell’economia, del matrimonio, del ruolo della donna, e così via.
            Divisioni interne: fin dai tempi di Maometto, la comunità islamica ha avuto la tendenza a dividersi in vari gruppi, sia per fattori politici e culturali, sia teologici e filosofici. Fin dal primo secolo dell’era islamica, in concomitanza con la guerra e le iniziative diplomatiche per la diffusione della religione, si sviluppò una corrente che considerava fondamentali la meditazione ed il ritiro spirituali: il sufismo. Questa nacque anche come reazione al lusso che stava dilagando alla corte del califfo a Bagdad, e sosteneva anche una diversa concezione del divino, un Dio di amore con cui gli uomini potevano raggiungere un’unione mistica in contrasto con l’immagine tradizionale del Dio giudice supremo e inavvicinabile, a cui gli uomini devono sottomettersi. Da cui il conflitto con l’Islam ufficiale.
La divisione più importante rispetto all’Islam sunnita, la corrente principale, fu il ramo sciita: questi sostenevano che il leader dovesse essere un diretto discendente di Maometto (costituivano infatti il partito del cugino e genero di Maometto), mentre i sunniti pensavano che il potere spettasse a chi lo deteneva di fatto. Riguardo l’interpretazione e l’applicazione della legge coranica, mentre i sunniti si basano sul principio del “comune accordo” (tra capi religiosi e fedeli) ritenendo che la rivelazione sia avvenuta una sola volta e nella sua forma definitiva, i musulmani sciiti sono invece convinti che la rivelazione si perpetui  attraverso i loro capi, gli imam, che diventano quindi la sola fonte dell’autorità e della guida religiosa. Gli sciiti hanno inoltre sviluppato una propria teologia originale, dei commentari del Corano, un proprio sistema giuridico e modalità particolari di svolgimento delle pratiche cultuali.  Gli sciiti assommano a circa un decimo dell’intera popolazione musulmana. 

Considerazioni sulla credibilità teologica 

Analizziamo e valutiamo i seguenti aspetti fondativi della religione islamica:
            1. l’esperienza mistica di Maometto
            2. la composizione del Corano e alcuni aspetti contenutistici
            3. altri elementi dell’apologetica musulmana  

1.     L’esperienza mistica di Maometto

Secondo la credenza islamica Maometto sarebbe un profeta scelto da Dio che avrebbe ricevuto delle rivelazioni dall’angelo Gabriele che gli avrebbe “dettato” il Corano. Dunque le vicende del suo eventuale (primo) incontro col divino stanno all’origine di tutto quello che ne è seguito e ne sono la causa remota e la più profonda radice, e pertanto necessitano di esser chiarite. Come sarebbero avvenute? È possibile averne conferma storica? come appurarlo? sono credibili?
Il Corano è molto sobrio al riguardo, come anche a quello che potrebbe aver anticipato tale rivelazione. La tradizione islamica infatti racconta che diversi eventi misteriosi avrebbero preceduto la rivelazione cruciale, cioè sogni, visioni notturne e strane sensazioni. Persino dell’evento cruciale accadutogli sul monte Hira vi sono soltanto cenni, forse per non enfatizzare il carattere prodigioso e in conformità al tono generale del libro che smentirà a più riprese che il profeta fosse un uomo diverso dagli altri, concentrando tutta l’attenzione sui contenuti del messaggio di cui era latore.
L’inizio della sura della Stella tuttavia richiama brevemente quel momento, senza troppo ben definirlo: “ Per la stella, quando declina! / Il vostro compagno non erra, non s’inganna / e di suo impulso non parla. / No, ch’è rivelazione rivelata, /appresagli da un Potente di Forze / sagace librantesi / alto sul sublime orizzonte! / Poi discese pendulo nell’aria/ s’avvicinò a due archi e mano ancora/ e rivelò al servo Suo quel che rivelò. / E non smentì la mente quel che vide…” (53, 1-11). Evento riproposto in forma altrettanto concisa in un altro passo: “Giuro per i pianeti /correnti occultantesi/ e per la notte quando s’ottenebra/ e per l’aurora alitante luce sulla notte, / che questo è parola d’un nobile Messaggero /  potente presso il Signor del trono e ben saldo / obbedito colà fedele; / e il vostro compagno non è un folle/ ma lo vide sul limpido orizzonte, / e non è avaro dell’Arcano di Dio, / né segue parole di un demone lapidato” (81, 15-25).
Le modalità di questo primo contatto non sono dunque precisate nel dettaglio, ma è chiaro che si trattò di una visione: un essere misterioso, poi identificato con l’angelo Gabriele, sarebbe apparso all’orizzonte per poi avvicinarsi a Maometto e comunicargli la rivelazione. I giuramenti che aprono i due brani servono a dare maggior enfasi e autorità a ciò che viene riferito e in entrambi i casi si allude alle riserve di quanti, sentendo tale narrazione, avrebbero potuto avanzare dubbi sulla sincerità del Profeta o sulla natura dell’essere che gli si era manifestato (P. Branca). Gli esegeti musulmani hanno ritenuto quasi all’unanimità che i primi versetti uditi da Maometto siano stati quelli con cui si apre la sura del Grumo di sangue: “Grida, in nome del tuo Signore, che ha creato, / ha creato l’uomo da un grumo di sangue! / Grida! Chè il tuo Signore è il Generosissimo, / Colui che ha insegnato l’uso del calamo, / ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva” (96, 1-5), ma non vi sono indicazioni precise al riguardo. Ne consegue che l’esperienza teopatica iniziale fu soprattutto visiva, anche se accompagnata dalla prime parole rivelate: non tanto di queste si parla nel Corano, quanto della misteriosa figura apparsa al Profeta.
Nella tradizione islamica tuttavia non mancano maggiori dettagli sulla visione. Nella Sira (biografia) vi si racconta: “Ora, una notte, venne a me Gabriele, mentre dormivo, con un panno, e disse: ‘Recita (leggi)’. Gli risposi: ‘Non so recitare (leggere)’. Ed egli me lo premette sul petto in modo che credetti di morire. Poi mi lasciò e disse: ‘Recita (Leggi)’. Quando Maometto rifiutò di recitare/leggere per la seconda volta, l’angelo gli disse: ‘Recita orsù nel nome del tuo Signore che ha creato,- che ha creato l’uomo da sangue raggrumato. – Egli ha insegnato l’uso della penna,- Egli ha istruito l’uomo in ciò che non sapeva’. Poi Maometto continua: ‘Mi svegliai ed era come se uno scritto fosse vergato nel mio cuore. Uscii dalla caverna e quando mi trovai in mezzo al monte, udii una voce che diceva: ‘O Maometto, tu sei l’apostolo di Dio e io sono Gabriele’. Alzai gli occhi, e vidi Gabriele in figura d’uomo con le gambe incrociate, senza avanzare né retrocedere, e quando distoglievo il mio sguardo da lui lo vedevo sempre all’orizzonte, dovunque lo volgessi”.
L’esperienza dunque così descritta non sarebbe stata indolore ed avrebbe spaventato Maometto. Simili rivelazioni si sarebbero ripetute a intervalli regolari (tranne una breve interruzione nei primi anni) fino alla sua morte, due decenni dopo.
L’atteggiamento di Maometto all’inizio del suo ministero è paragonabile a quello di Geremia che, ben lontano dal voler intraprendere una missione religiosa, resiste alla chiamata di Dio. Solo nella grotta e sopraffatto dall’esperienza visionaria, Maometto si tormenta, dubitando del fatto di essere stato chiamato da Dio. Dice il Corano: “Non t’aspettavi che ti fosse dato il Libro”. Si sente lacerato dall’incertezza sull’autenticità della rivelazione e per gli straordinari doveri del ruolo profetico: “Ahimè, poeta o posseduto…Andrò in cima alla montagna e mi butterò giù, mi ucciderò e sarò in pace”. Maometto poi si rivolge alla moglie Khadija per raccontarle l’accaduto ed accertarsi di non essere stato ingannato da un miraggio, e lei lo consola. Si recano poi da Wraqa, un suo cugino cristiano con seri interessi religiosi, per sapere che cosa ne pensi, e questi riconoscendo le analogie fra l’esperienza di Maometto e quella di Mosè, crede che egli abbia ricevuto una chiamata autentica, identifica il messaggero della rivelazione con l’angelo Gabriele e predice che Maometto sarà perseguitato e scacciato dalla Mecca. Pur superate la sorpresa e la paura provate la prima volta, e benchè si fosse convinto (dopo un iniziale periodo di dubbi) della genuinità del messaggio ricevuto, Maometto continuò a reagire alle sue esperienze straordinarie con manifestazioni fisiche di disagio: si narra che all’approssimarsi delle rivelazioni egli prendesse a sudare, anche se il clima era freddo, e fosse scosso da tremiti, chiedendo qualcosa con cui coprirsi. Quest’ultimo particolare trova conferma nel Corano, nel quale Dio si rivolge a Maometto apostrofandolo più volte come “colui che è avvolto nel mantello” (sure 72,74). Sembra che le rivelazioni seguenti si verificassero in due maniere diverse: o in forma estatica, per cui Maometto usciva dalle normali condizioni fisiche e psichiche e riceveva l’ispirazione, oppure in forma di apparizioni dell’angelo Gabriele in aspetto umano, cosi che egli potesse ascoltare la rivelazione del Corano.
Quando cominciò a predicare, i cittadini della Mecca non sapevano spiegarsi la trasformazione di Maometto. Alcuni sostenevano che fosse un veggente o un poeta, o un mago, ma il nome più usato dal Corano è “inviato” o “apostolo”. Al pari degli apostolo biblici e non biblici della cultura greco-romana Maometto si riteneva incaricato di trasmettere un messaggio, come Giovanni Battista  o come l’apostolo Pietro. Maometto si sentiva obbligato a ripetere alla lettera ciò che aveva udito senza poter interpretare il messaggio. Il suo stile di predicazione era analogo a quello degli indovini della sua cultura. Nei suoi sermoni presentava un Dio clemente e nel contempo giudice severo ed esortava la sua gente a riconoscere il Dio misericordioso della Kaba, parlava delle delizie del paradiso contrapponendole agli orrori dell’inferno destinato agli idolatri e si rivolgeva agli abitanti della Mecca in tono sprezzante. A quarantatré anni Maometto a forza di fustigare i politeisti si inimicò i potenti della città e dovette sopportare molte derisioni, ma lui si richiamava con determinazione alla volontà di Dio su di lui e sul divino messaggio, a costo della vita.
            Gli elementi che depongono a favore della sua sincerità possono essere:
la sorpresa e la paura che accompagnano la rivelazione, le manifestazioni fisiche di disagio (sudore e tremiti); lo scoramento da lui provato quando, dopo le prime rivelazioni, vi fu un lungo periodo di stasi (due o tre anni) che lo gettò nel più profondo sconforto, alla ripresa delle quali il Corano stesso così commenta: “Il tuo Signore non t’ha abbandonato né ti odia” (93,3); la volontà suicida di Maometto (probabilmente un impostore che inventasse consapevolmente la rivelazione non avrebbe provato alcuna angoscia); il fatto descritto che il profeta vedesse sempre all’orizzonte l’immagine di Gabriele che incombeva su di lui e dalla quale non riusciva a liberarsi, che viene considerato significativo dallo studioso islamico A. Bausani: “Specialmente questo tratto finale, riscontrato storicamente anche in estatici moderni, e non facilmente inventabile da chi non l’abbia in qualche modo provato, dà al brano un tale carattere di autenticità che sembra difficile dubitare sia della sua genuinità nelle linee essenziali, sia della sincerità della esperienza teopatica di Maometto”.
Anche per P. Branca “queste e altre manifestazioni confermano la sincerità dell’esperienza di Maometto, tanto simile a quella di molti mistici di altre tradizioni religiose in troppi dettagli per essere soltanto opera di suggestione o addirittura d’impostura”.
            Tuttavia sono anche molti i limiti di accesso alla verità dell’esperienza di Maometto.
Nonostante la vita di Maometto sia chiaramente inserita nella storia, gli elementi su cui basarsi per una ricostruzione storica dell’oscuro tema della rivelazione a Maometto scarseggiano. (Si veda inoltre quanto già detto a proposito di rivelazioni ed esperienze religiose nell’articolo sull’“ esperienza religiosa”). C’è anche chi pensa che la rivelazione nella caverna come riportata dalla tradizione possa essere tutta una costruzione posteriore intesa ad inquadrare in una “cornice” il versetto che inizia con l’ordine dell’angelo: “Recita!”. Peraltro non vengono nominati testimoni delle sue rivelazioni, ma solo Maometto che dice di aver avuto tali visioni e audizioni. È stato anche detto che Maometto sarebbe stato epilettico e quindi sintomi e manifestazioni particolari sarebbero da ricondurre al suo stato patologico piuttosto che al divino; tuttavia tale patologia non può bastare a spiegare compiutamente tali fenomeni.
            È stato anche affermato che Maometto fosse analfabeta, per rendere così impossibile l’ipotesi della sua invenzione dei messaggi o l’imitazione di contenuti della religione ebraica o cristiana (poiché il Corano contiene riferimenti a personaggi biblici); in questo modo tali riferimenti con Antico e Nuovo Testamento gli sarebbero stati ispirati da Dio. Così la versione che traduce “leggi” al posto di “recita” e quindi la risposta di Maometto “Io non so leggere” appare come una interpretazione apologetica degli eventi da imputare a studiosi successivi. Oggi la teoria di Maometto analfabeta non è considerata un argomento valido, afferma lo stesso studioso islamico M. Watt, “poiché anche se Maometto non sapeva leggere, le storie della Bibbia potevano essergli state lette o raccontate, e presumibilmente vi erano persone alla Mecca, come Waraqa, che avevano una conoscenza superficiale della Bibbia.”. 

2.     la composizione del Corano e alcuni aspetti contenutistici

Per i musulmani il Corano è una riproduzione parziale del Corano originario, custodito nei cieli, che è eterno e increato e non può essere paragonato ad alcuna scrittura umana. Ogni parola del Corano sarebbe parola di Dio, per cui nell’Islam si pone la massima cura nella sua trasmissione.
La tradizione riferisce che Maometto ricevette ripetutamente le rivelazioni nel tempo di 23 anni, in parte a la Mecca e in parte a Medina. Ma sempre secondo la tradizione islamica il Corano sarebbe “disceso” sul profeta per intero in una sola volta, la cosidetta “notte del destino”, tra il 26 e il 27 del mese di ramadam del 610, come dichiara la sura 97. Non si può lasciare inavvertita la contraddizione tra la rivelazione del Corano intero in una sola notte e quella nell’arco di 23 anni. Ma questo non turba i musulmani che hanno una concezione di Dio come di colui che tutto può operare secondo la sua volontà, senza dover necessariamente sottostare alle regole della limitata logica umana. Infatti i teologi musulmani hanno trovato due spiegazioni per superare questa contraddizione: secondo la prima, il Corano, copia terrestre del libro celeste, dopo essere stato rivelato tutto intero la “Notte del destino”, fu riassunto in cielo presso Dio e poi di nuovo rivelato a frammenti. La seconda spiegazione, invece, dice che il Corano fu trasferito dal cielo superiore a quello inferiore per essere affidato all’angelo Gabriele, con il compito di rivelarlo a Maometto a frammenti, in tempi diversi. Realisticamente, la credenza che il Corano sia stato rivelato in una sola volta quando le rivelazioni hanno accompagnato Maometto per oltre vent’anni, risponde alla necessità di preservare la trascendenza della Parola divina, evitando di farla dipendere dalle contingenze storiche. Infatti la graduale progressione con cui la rivelazione fu ricevuta da Maometto non mancò di suscitare le critiche dei suoi avversari, come ricorda lo stesso Corano: “E dicono ancora quei che ripugnano alla fede: ‘Gli fosse stato almeno rivelato il Corano in una sola volta!” (25,32).
In ogni caso, al di là di ogni spiegazione che si può dare dell’evento nel suo complesso, è certo che nella tradizione musulmana il Corano non è un libro pensato e scritto da Maometto e neanche un libro semplicemente ispirato, ma un libro creduto rivelato, ossia “mandato dall’alto” (sura 3, versetto 3) mediante un dettato dell’intermediario di Dio. Il Corano tuttavia non fu messo per iscritto da Maometto (né in una sola volta né man mano che riceveva le rivelazioni) ma solo da lui memorizzato e trasmesso ai suoi discepoli, che a loro volta lo memorizzarono. Forse con Maometto ancora in vita furono annotate delle parti delle rivelazioni ma è certo che alla morte del profeta non era ancora disponibile una redazione completa del Corano, la quale venne fissata soltanto successivamente. Ma secondo il Corano stesso a garantire la fedeltà mnemonica al testo dettato interveniva l’assicurazione espressamente divina, come si trova nella sura 87,6 che dice: “Ti faremo recitare, e tu non dimenticherai”, e quindi, essendo parola di Dio, è ritenuto perfetto in ogni senso (come lingua, come contenuto e come forma); e come esso è stato finora preservato da Dio da ogni alterazione o manipolazione, cosi sarà anche in seguito. Dio così avrebbe inviato all’umanità come strumento perfetto e quindi definitivo di salvezza non suo figlio, che non ce l’ha, ma un libro, il libro della sua parola, la guida per eccellenza, perché tutti gli uomini potessero essere istruiti senza errore e potessero essere guidati senza inganno sulla via della salvezza. A causa del carattere “inimitabile” del Corano, per lunghissimo tempo i musulmani non ne permisero la traduzione in altre lingue al fine di evitare qualsiasi modificazione del contenuto conseguente a una traduzione  (in seguito fu poi accordata ma accompagnata dal testo normativo arabo) e non è consentita l’analisi storico-critica a fini esegetici.
            In realtà le vicende della raccolta dei discorsi del profeta, vicende che portarono alla stesura e alla redazione finale del testo scritto, sono poco chiare. La tradizione dice che, dopo la battaglia di Aqraba, nella quale morirono molti credenti che conoscevano a memoria il Corano, Omar, nel timore che gran parte della rivelazione andasse perduta, pensò di proporre al califfo Abu Bakr (632-634) di far mettere per iscritto la rivelazione del Profeta. L’incarico fu dato al segretario del profeta, Zayd ben Thabit, che pensò a raccogliere tutto il materiale, sia quello scritto (su pietre, scapole di animali, foglie di palma, pelle conciata, etc.) che quello tramandato oralmente; lo fece quindi trascrivere su fogli di carta e poi lo consegnò al califfo. Alla morte del califfo Abu Bakr, il manoscritto passò ad Omar, il secondo califfo (634-644) e da lui pervenne a sua figlia Hafsa. Ma contemporaneamente a questa redazione c’erano altre quattro versioni che circolavano che contenevano delle varianti tra loro. L’adozione “definitiva” e ufficiale del testo di Abu Bakr si deve a Utnam, il terzo califfo (644-655) che, a causa delle divergenze politico-religiose, manifestatesi soprattutto nell’esercito, e dietro il parere di un’apposita commissione da lui istituita, decise (intorno al 650) di scegliere appunto la versione di Abu Bakr e di far distruggere tutte le altre.
            È chiaro che queste vicende comportano problemi relativi a possibili alterazioni o smarrimenti di parti della rivelazione. Se poi si deve intendere che il Corano sia alla lettera la parola di Dio, allora che dire degli errori evidenti che si incontrano a volte in esso? Ad es. ci sono discrepanze interne come nel caso delle parole riguardo a Mosè attribuite ora ai consiglieri del Faraone, ora al faraone stesso: “E disse il Consiglio della gente di Faraone: ‘certo, costui è un saggio incantatore…”(7,109) ; “Allora disse Faraone alla corte che l’attorniava: ‘Costui certo è un abile mago…”(26,34); o nell’episodio dell’annuncio della nascita di un figlio rivolto ora ad Abramo (“Non aver paura, chè noi ti diamo la buona novella di un giovane saggio” 15,53) ora a sua moglie (“E sua moglie, ritta lì presso, rise: ma le demmo la buona novella di Isacco e dopo di lui di Giacobbe”11,71).
Oltre ad errori interni si trovano anche dipendenze del testo da fatti e situazioni contingenti a cui è spesso e palesemente collegato, nonché cambiamenti nelle comunicazioni divine nel corso degli anni. Il Corano stesso dice che Dio si definisce arbitro assoluto del proprio verbo che può liberamente alterare o perfino in parte abolire in base alla sua misteriosa volontà: “Non abrogheremo, né ti faremo dimenticare, alcun versetto senza dartene uno migliore o uguale: non sai dunque che Iddio è onnipotente?” (2,106) ma si può anche pensare che queste modifiche avessero lo scopo di adattare le rivelazioni a fenomeni contingenti per ricavarne vantaggi personali. Si pensi a come cambiò il ruolo di Maometto da quando passò dalla Mecca a Medina: la rivelazione consegnata al profeta nel periodo meccano diceva: “Tu sei colui che ammonisce, non ti compete il dovere di annotare le loro azioni” (C 88,21; 42,48), ossia non hai alcuna autorità su di loro; ma all’arrivo a Medina in poi Maometto dichiara: “Temete il Dio, obbedite a me” (C 26,108). Seguirono anche “rivelazioni chiarificatrici” per giustificare saccheggi alle carovane e divisioni del bottino (quattro quinti andavano ai rapinatori e un quinto a Maometto, C8,1.41). Anche il rifiuto della crocifissione di Gesù da parte del Corano, secondo il quale invece è stato assunto direttamente in cielo (4,157-58), derivante da principi morali e teologici (soprattutto perché un profeta di Dio non potrebbe essere ucciso dai nemici), contrasta con quello che è uno dei dati più storicamente verosimili della vita di Gesù (anche se negli ultimi tempi alcuni teologi musulmani, per il bene delle future relazioni tra Islam e cristianesimo, hanno tentato diverse e dubbie interpretazioni che non neghino uno dei punti essenziali della fede cristiana). Ci sono stati e ci sono interventi di studiosi islamici che promuovono una considerazione della rivelazione divina non letterale, ma solo di una ispirazione tradotta in linguaggio umano soggetto alle influenze delle relazioni che sussistevano tra il profeta e i suoi contemporanei, ma a molti queste sono sembrate un’inaccettabile relativizzazione del testo e un attentato alla trascendenza e alla libertà di Dio.
Infine l’invito alla violenza e alla guerra presente nel Corano può inficiare la sua credibilità teologica, poiché a molti il ricorso alle armi per motivazioni religiose o politiche non può non apparire immorale. Non manca nel Corano il concetto di pace riferito anche ai rapporti tra il profeta e i suoi contemporanei, ma è innegabile uno spiccato legame – anche nelle fonti – tra religione e guerra. La stessa vita di Maometto è una serie impressionante di campagne militari, di stragi, di eliminazioni per conquistare nuovi territori e diffondere l’Islam. Soprattutto dopo l’egira si verificarono omicidi e guerre contro ebrei (uccisioni gratuite di prigionieri perché lo avevano canzonato, donne rese schiave) e quelli che erano emigrati e che combatterono per riconquistare la Mecca sono particolarmente lodati e proposti a esempio. La partecipazione al combattimento viene indicata nel Corano come suprema espressione di fedeltà (inizio sura 9), mentre altre esortazioni appaiono emblematiche: “immaginate forse di potere entrare in paradiso senza che Dio abbia prima riconosciuto quali fra voi abbiano lottato per lui e quali siano stati pazienti nelle afflizioni?” e similmente 61,11; 4,95; 49,15. In meno di dieci anni Maometto era passato dalla condizione di fuggiasco a quella di potente capo arabo, e cominciò a inviare messaggi a governanti stranieri dichiarandosi messaggero di Dio e assicurando la salvezza a chi avesse abbracciato l’Islam. Gli apologeti musulmani giustificano la cattiveria di Maometto contro gli ebrei rifacendosi anche alla legge ebraica sul trattamento della città assediata, conforme al Deuteronomio (“uccidi tutti i maschi, donne, bambini e bestiame e bottino come preda”); ma questa in realtà è una critica ad entrambi (musulmani ed ebrei) piuttosto che una giustificazione dei primi.

3.     altri elementi dell’apologetica musulmana.

Si raccontano miracoli di Maometto: nonostante egli dichiarò di non essere un mago, la comunità musulmana non tardò ad attribuirgli imprese soprannaturali. Dopo 100 anni venivano accettati come ortodossi dai fedeli alcuni racconti fantastici sul suo conto. Ad esempio in una esperienza extracorporea il suo spirito dalla Mecca sarebbe andato a Gerusalemme accompagnato da Gabriele dove erano presenti Abramo Mosè, Gesù e altri profeti; da qui avrebbe potuto vedere l’inferno coi suoi tormenti e il paradiso. Questa esperienza extracorporea è stata collegata con le rivelazioni coraniche su Dio “che una notte lanciò in viaggio il suo servo dalla santa moschea alla lontana moschea” e sulle sette sfere celesti dominate dal grande trono celeste. In genere l’ortodossia musulmana ha trasformato il volo immaginario in un viaggio materiale, con l’aggiunta di particolari sulle sue presunte esperienze.
Probabilmente alcuni presunti miracoli nacquero dal desiderio di controbattere le obiezioni dei cristiani che screditavamo Maometto citando la sua incapacità di fare miracoli, attestata dal Corano. La storia del concepimento di Maometto tra l’altro è analoga a quella di Gesù. Chiaramente nessun racconto di miracoli può essere ragionevolmente confermato.
            Anche l’espansione dell’Islam è un altro classico argomento dell’apologetica musulmana: secondo questa, Dio starebbe dietro la sorprendente espansione dell’Islam in tutto il mondo. Si può considerare che mentre alla morte del profeta l’Islam risiedeva nella sola Arabia, cento anni dopo si estendeva dall’Andalusia  all’Asia centrale.  Ma questo fatto si può spiegare altrettanto bene come esito di strategie e campagne militari promosse da Maometto stesso e dai suoi successori. Inoltre anche altre religioni si sono diffuse in modo sorprendente e rapido (per esempio il cristianesimo).
Anche il contenuto e la forma linguistica del Corano sono ritenuti eccelsi e pertanto soprannaturali: ma presunte verità su Dio e i suoi rapporti col genere umano si possono spiegare anche come risultato di una composizione umana debitrice tra l’altro di altre fonti religiose come ebraismo, cristianesimo (e manicheismo).           

            In conclusione, tenendo presenti i problemi esistenti nel decifrare la presunta esperienza di rivelazione di Maometto e quelli che riguardano la stesura del libro che riporterebbe tali rivelazioni (il Corano), l’accettazione della natura soprannaturale della religione islamica è solo questione di fede.


BIBLIOGRAFIA

Branca P., Il Corano. Il libro sacro della civiltà islamica,  Il Mulino 2001
Filoramo G. - Massenzio M. - Raveri M. - Scarpi P., Manuale di storia delle religioni, Laterza 1998
Kung H. –Van Ess J. –Von Stietencron H.  –Bechert H., Cristianesimo e religioni universali or.       1984, Mondadori 1986
L. Baccari, La rivelazione nelle religioni, Borla 1996
Montgomery Watt W., Breve storia dell’Islam, or. 1996, Il Mulino 2002
Noja S., Maometto profeta dell’Islam, in Id., Storia dei popoli dell’Islam, vol I, or. 1974,             Mondadori 1992
Phipps W. E., Maometto e Gesù, or. 1996, Mondadori 2002

Nessun commento:

Posta un commento