Gli argomenti ontologici cercano di dimostrare
l’esistenza di Dio indipendentemente dall’esperienza, sono detti a priori, e partono dal solo concetto di Dio che l’uomo può
immaginare.
Anselmo
d’Aosta (1033-1109)
formula cosi nel “Proslogion” il suo argomento per l’esistenza di Dio: noi
crediamo che Dio sia l’ente di cui non si può pensare il maggiore. Anche chi
nega l’esistenza di Dio, per dire “Dio non esiste” deve avere l’idea di ciò che
nega; può dunque avere l’idea di ciò di cui non si può pensare il maggiore. Ma
l’ente di cui non si può pensare il maggiore non può essere soltanto pensato,
perché se fosse soltanto pensato non sarebbe più l’ente di cui non si può
pensare il maggiore; infatti un ente di cui non si può pensare il maggiore esistente, sarebbe maggiore (ossia più
perfetto) di un ente di cui non si può pensare il maggiore soltanto pensato. Dunque l’ente di cui non si può
non pensare il maggiore esiste necessariamente.
Le principali contestazioni
razionali mosse alla prova ontologica dal suo tempo ad oggi possono essere
ricondotte a tre fondamentali obiezioni (R. Timossi):
- l’idea di Dio come “qualcosa di
cui nulla di maggiore si può pensare” non ha carattere universale, non è cioè
presente nella mente di tutti gli uomini. Infatti nell’antichità molti
pensavano che Dio fosse solo il mondo visibile attuale (come replicò già
Tommaso); oppure, se pensiamo al concetto del divino delle dottrine
filosofico-religiose dell’Oriente, per queste la “perfezione” non appartiene ad
un solo Ente supremo ma va cercata nell’armonia del “Tutto” (il Tao, o il
Brahaman, o il Dharma) e quindi anche gli uomini, se sono “illuminati” ne sono
partecipi. Qui i rapporti gerarchici tra i diversi gradi di perfezione non
sembrano avere alcun senso, il dualismo tra un mondo “imperfetto” e un Ente
trascendente perfettissimo è respinto in favore di una concezione monistica
della realtà per cui “ ciò di cui non si può pensare il maggiore” non è
nient’altro che l’unità di tutto quanto esiste.
- il solo pensiero di un “Essere
della massima perfezione concepibile” non è condizione sufficiente a
dimostrarne la reale esistenza, poiché non sussiste nessuna relazione
necessaria tra il pensare il concetto di un determinato ente – sia esso anche
il più grande concepibile – e la sua effettiva esistenza fuori dall’intelletto.
Un conto, in altre parole, è l’ordine delle idee e un altro conto è l’ordine
della realtà delle cose; un conto sono le condizioni soggettive del pensare a
qualcosa e un altro conto sono le condizioni oggettive che fanno sì che questo
qualcosa esista realmente. Già Tommaso aveva chiarito: “La realtà che deriva
come logica conseguenza non può essere superiore al valore del termine [cioè
“Dio”]. Ora per il fatto che una cosa del genere [ovvero l’essere perfettissimo]
si concepisce mentalmente nel proferire il termine Dio, non ne segue che Dio
esista, se non come dato intellettivo. Perciò l’essere di cui non se ne può
pensare uno maggiore non può non avere esistenza: però nell’intelletto. Ma da
ciò non ne segue che codesto essere esista anche nella realtà”.
- è tutta da dimostrare la tesi
secondo cui l’esistenza reale è una perfezione. In particolare poi l’esistenza
non va considerata un semplice predicato da aggiungere ad un soggetto, non è un
normale attributo di una qualsiasi definizione – come ad es. “è grande”, “è
piccolo”, “ha quattro zampe”, “è ragionevole”, ecc. – ma al contrario risulta
un dato assoluto (o una cosa esiste nella realtà o non esiste in alcun altro modo) e pertanto può essere sancita solo
tramite l’esperienza. Kant disse: “Se dico: ‘Dio è’ o ‘ C’è un Dio’ allora non
attribuisco alcun nuovo predicato al concetto di Dio, ma pongo soltanto il
soggetto in se stesso, con tutti i suoi predicati […]. E dunque il reale non
contiene niente più del semplice possibile. Cento talleri reali non contengono
assolutamente niente di più di cento talleri possibili”.
L’altro argomento per certi versi
affine (si parla dell’idea di Dio come infinito) ma anche difforme (si parte
dal mondo finito, dalla mente finita dell’uomo, e non dalla semplice idea di
Dio) è quello di Cartesio nella
“Terza Meditazione”: Cartesio afferma che trova nella propria mente il concetto
di infinità e di perfezione, e poiché la sua mente è ovviamente imperfetta e
limitata essa non potrebbe aver escogitato questo concetto con le sue risorse.
Conseguentemente, l’idea dell’infinito non può non essere stata immessa nella
mente umana da un’altra e più possente mente; tenuto conto che del fatto che
l’effetto deve essere commisurato alla causa, tale concetto non si sarebbe
potuto formare se una Mente Infinita effettivamente non ve lo avesse posto.
Due critiche sono state fatte a
questo argomento:
- il concetto di infinito che
abbiamo è comunque un’idea finita: è solo una pura negatività, l’atto di
aggiungere una particella di negazione a idee finite; nulla corrisponde ad esso
nella nostra esperienza e nulla fa pensare che abbiamo un’idea innata
dell’infinito, e quindi nulla impedisce che il nostro cervello basti a spiegarla.
- Poi, il principio richiedente che
la causa sia commisurata all’effetto non ha alcun significato trasparente: non
è affatto evidente che vi debba essere almeno altrettanta realtà nella causa
quanto nell’effetto (gli atomi non pensano; questo non esclude che siano causa
del pensiero, nel nostro cervello). Tale principio non può darci una qualsiasi
certezza che l’idea dell’infinito nelle nostre menti debba essere stata
prodotta da un reale autore infinito.
Infine riassumo una delle versioni
recenti dell’argomento portato negli ultimi decenni, con lo sviluppo della
logica modale, soprattutto dal filosofo A. Plantinga.
Un essere davvero grande è quello la
cui grandezza resta immutabile di fronte al caso. Tale essere non soltanto è
grande, ma lo sarebbe stato anche se
gli eventi avessero preso una piega diversa. Questo criterio per esempio
stabilisce che Napoleone non fu davvero grande perché sarebbe potuto morire
d’influenza in Corsica da bambino, anziché diventare adulto e conquistare
l’Europa (anzi, potrebbe anche non essere mai nato). Detto questo, l’essere massimamente grande è quello la
cui grandezza rimane insuperata in ogni
mondo possibile. Se esistesse, si tratterebbe di un essere onnisciente,
onnipotente e perfettamente buono. E nessuno stato di cose ne sminuirebbe in
alcun modo le sue qualità massimali. Ne consegue che un essere così fatto non
potrebbe essere mera contingenza, esistere (come Napoleone) in certi mondi e in
altri no. Se un essere massimamente grande esistesse, esisterebbe
necessariamente, in tutti i mondi possibili. Chiamiamo “Dio” l’essere
massimamente grande. Ora: in genere anche gli atei ammettono la possibilità
dell’esistenza di Dio, pur ritenendolo improbabile. Ma sostenere anche solo la possibilità di qualcosa, per esempio che
una teiera orbiti intorno al sole, è come dire che in un certo mondo possibile
la teiera sta effettivamente orbitando intorno al sole. Così, sostenere che Dio
può esistere equivale ad affermare che in un certo mondo possibile Dio c’è. Ma Dio è diverso da una teiera. È per
definizione l’entità massimamente grande. A differenza della teiera la sua
grandezza – e perciò la sua esistenza – rimane immutata a dispetto di ogni
possibilità. Quindi, se Dio esiste in un mondo possibile, deve esistere in
tutti i mondi possibili, compreso il nostro. Insomma, se l’esistenza di Dio è
possibile, è anche necessaria.
Questa versione è immune dalla
critica di Kant perché non dà all’esistenza
il carattere di un predicato o di una perfezione. Ma il problema qui è : Dio è davvero possibile? Oppure, per dirla nel
linguaggio dell’argomento ontologico modale, esiste davvero
un’esemplificazione della grandezza
massimale? Un essere massimamente grande è quello che, se esiste in una realtà
possibile, esiste in tutte. Un monarca massimamente grande sarebbe colui che,
se avesse un regno in un angolo dell’universo, regnerebbe sull’universo intero.
Ma è chiaro che il concetto di grandezza massimale va oltre il confine di ciò
che ci è familiare. Ma allora come facciamo a sapere se è possibile? Infatti non
c’è niente di contraddittorio neanche nel supporre che un essere massimamente
grande non esista. Quindi, a parità
di ragionamento, dev’esserci un mondo in cui la grandezza massimale è assente.
Ma se Dio è assente da uno qualsiasi dei mondi possibili, è assente da tutti i mondi possibili, in particolare
da quello reale.
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