giovedì 16 aprile 2015

16. BUDDHISMO


Il buddhismo ha origine in India nel VI sec. a.C. Tuttavia è maggiormente concentrato in Sri Lanka e nell’Asia sudorientale, e fin dai tempi antichi si era diffuso anche in Cina, in Corea e in Giappone.
Il fondatore del buddhismo fu Siddhartha Gautama di cui esiste una biografia in parte leggendaria, in cui è quasi impossibile poter distinguere verità storica da racconto immaginario.
Il principe Siddhartha (563-483 a.C. circa) crebbe nel lusso, finchè a 29 anni uscì di palazzo e si imbattè in un vecchio, in un ammalato e in un cadavere. Da qui provò pietà e compassione per gli uomini e si sentì chiamato a liberarli dalla sofferenza. Dopo sei anni di meditazione e digiuni sperimentò il “risveglio”, era stato “illuminato”. Il principio di cui aveva preso coscienza era che tutta la sofferenza del mondo aveva origine dal desiderio. Soltanto sopprimendo il desiderio è possibile sottrarsi al ciclo delle rinascite.
Il buddhismo si è sviluppato come una distinta via per la salvezza all’interno dell’Induismo, e il fatto che l’uomo sia legato al ciclo delle rinascite era per il Buddha un punto di partenza naturale. Però se per l’induismo l’anima dell’uomo è individuale e eterna (atman), è legata alla reincarnazione ed è ritenuta in tutto o in parte identica all’anima del mondo (brahman), il buddhismo nega che l’uomo abbia un’‘anima’ e rifiuta la concezione dell’anima del mondo. La vita umana sarebbe una sequenza ininterrotta di processi fisico-mentali che modificano costantemente l’uomo: non esiste un nucleo immutabile della personalità, un “io”.
Dopo la sua illuminazione il Buddha tenne a Benares il discorso in cui delineava le quatrro nobili verità: nel mondo c’è la sofferenza; l’origine del dolore è nella sete del piacere e di esistenza; si può sopprimere il dolore sopprimendo il desiderio; l’uomo sarà liberato dal dolore e dal ciclo della reincarnazione se sceglie di seguire il nobile ottuplice sentiero (retta visione, retto volere, rette parole, rette azioni, retti mezzi di esistenza, retto sforzo, retta attenzione, retta concentrazione).   


Al nirvana (“spegnimento”) si arriva quando l’uomo ha spento in lui ogni desiderio, quando l’intero karma si è esaurito e la legge della reincarnazione si è infranta: nei testi buddhisti è più spesso presentato come negazione, come un nulla, nel senso che rappresenta la liberazione della sofferenza, un vuoto spoglio di desideri, ma alcuni testi lo definiscono anche in modo positivo, come condizione di conoscenza, felicità e pace che si raggiunge dopo aver annullato odio, cupidigia e ignoranza. Condizione necessaria per raggiungere il nirvana è che il buddhista abbia sperimentato il risveglio (bodhi), come il Buddha. Le buone azioni da sole non bastano a condurre al nirvana; ma una giusta condotta di vita può riflettersi in rinascite favorevoli, che a loro volta possono creare la condizione perché abbia luogo il risveglio. Il nirvana è quindi una condizione in cui ci si può trovare all’improvviso, senza preavviso. Tale esperienza può essere così intensa che il mondo sembra andare a fuoco; e quando il buddhista fa ritorno alla realtà, gli sembra di essere circondato  da fredde ceneri. Il nirvana definitivo, che ha inizio con la morte, e da cui non è possibile far ritorno, nel buddhismo si chiama parinirvana, “lo spegnimento assoluto e completo”.

Nell’etica buddhista la compassione, o condivisione del dolore, e l’amore hanno un posto centrale. Non solo le azioni, ma anche i sentimenti e la disposizione d’animo sono importanti. Nella vita concreta il buddhismo impone cinque regole di condotta: non danneggiare alcuna creatura vivente, non rubare, non danneggiare gli altri in rapporto ai piaceri sensuali, non dire il falso e non fare uso di alcool o droghe (per essere concentrati sulle regole da seguire).

Il buddhismo non negava l’esistenza degli dèi ma sosteneva che gli dèi sono soggetti alla transitorietà, esattamente come gli uomini, e anch’essi sono legati alla ruota continua della rinascita. Tra i buddisti laici troviamo molto diffuso il culto di demoni, spiriti e altre divinità che, se adorate nel modo giusto, possono intervenire positivamente sulla vita degli uomini. Anche all’interno dello stesso buddhismo ci sono varie concezioni e diverse correnti. 

Considerazione sulla credibilità teologica/filosofica del buddhismo

Il buddhismo è una forma di religiosità o una religione atipica, in cui Dio non è riconosciuto, come essere assoluto, né trascendente né salvifico né personale. D’altra parte esso riconosce l’esistenza di potenze divine superiori agli uomini e alle realtà naturali. Si potrebbe dire che il buddhismo è apofatico, in quanto preclude la possibilità di parlare della realtà assoluta. È una religione del silenzio di Dio, nel triplice senso di silenzio da parte di Dio (assenza di rivelazione), silenzio su Dio (assenza di discorso teologico) e silenzio con Dio (assenza di culto). Esso è una dottrina ed una prassi di salvezza finalizzata alla liberazione dalla contingenza e dal dolore. Può essere concepito come una “terapia del dolore”. D’altra parte questo stesso ateismo, o agnosticismo, o forse meglio, apofatismo religioso, che sono le premesse del buddhismo, non sono premesse dimostrabili, incontrovertibili: non è dimostrabile che non esista alcun Dio significativo per l’uomo, come non lo è che l’uomo non abbia un’ anima o che non esista un’anima del mondo. Il buddhismo in realtà potrebbe precludersi delle opportunità di percorsi e di salvezza che invece quasi tutte le altre religioni teistiche propongono.
Sulla problematicità della dottrina della reincarnazione vale quanto detto per l’induismo (da segnalare la differenza che nell’induismo è l’anima dell’uomo a trasmigrare mentre nel buddhismo è solo una serie di aggregati, in continua trasformazione, e non un “io” stabile).
Ci si può anche chiedere se il “nirvana” possa apparire a tutti come una condizione assolutamente desiderabile. Si è detto infatti che la sua natura non è definibile, viene talora considerato come pura negatività (assenza di desiderio e quindi di dolore) oppure come positività (presenza di gioia e pace). Questa ambiguità e incertezza della meta da raggiungere tramite una vita di radicale rinuncia di sè, spezzando i legami esistenti nella nostra condizione umana, nella nostra psiche e nel nostro corpo, con una costante meditazione,  pratica della compassione, ed estremi sforzi di nobilitazione personale, potrebbe essere demotivante per molti. D’altra parte, molto dipende dalla convinzione che ognuno può nutrire riguardo la verità o meno della credenza nella reincarnazione.

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