domenica 19 aprile 2015

19. Origini del CRISTIANESIMO (I)


Consideriamo ora il cristianesimo, la religione della nostra area culturale nella quale siamo stati educati. Diamo per conosciuti i contenuti fondamentali della nostra religione (reperibili nel Credo). È noto che il Dio d’Israele, Yahvè, è lo stesso Dio di Gesù, per cui il legame tra ebraismo e cristianesimo è molto stretto. Allo stesso tempo le due religioni sono molto lontane se pensiamo che per i cristiani (tradizionali) Gesù è il Figlio di Dio inviato da questi nel mondo, il Salvatore, Signore e Dio lui stesso, mentre per gli ebrei Gesù non è stato nemmeno il messia inviato da Dio.

Quello che ci domandiamo è: la convinzione della religione cristiana di concepire Gesù come il Salvatore, Signore e Dio, può avere - e se sì, in che senso e in che misura - conferma o smentita storiche? Detto altrimenti: la ricerca storica fin dove ci permette di arrivare circa la conoscenza del messaggio e dell’attività, e ancor più importante, della persona e dell’identità di Gesù? Che cosa sappiamo storicamente su Gesù di Nazaret? Insomma: la religione cristiana può trovare conferma o anche solo appoggio dalla storia sulle sue origini, o al contrario può trovarvi smentita o anche solo una critica? Vediamo. 

Le fonti cristiane canoniche 

Gesù non ci ha lasciato alcuno scritto. Le fonti che ci permettono l’accesso alla sua figura storica sono di tre tipi.  In primo luogo ed essenzialmente la nostra conoscenza si basa su fonti cristiane, di cui le principali sono i quattro vangeli canonici, cui si aggiungono gli altri scritti del Nuovo Testamento, nonché  i vangeli apocrifi. In secondo luogo vengono i testi dello storico ebreo Giuseppe Flavio, cui si possono aggiungere alcune altre fonti giudaiche, come alcuni passi del Talmud babilonese. Infine si possono computare le fonti pagane, che si riducono fondamentalmente a brevi notizie offerte dagli storici romani Tacito e Svetonio, dal governatore Plinio il Giovane, e da un certo Mara bar-Seraption.
            I quattro vangeli canonici, non sono propriamente una biografia, ma testimonianze impegnate di individui che avevano creduto in Gesù come al messia, figlio di Dio, Signore e Salvatore. Questo non significa che non siano affatto storici, ma solo che riferiscono eventi storici entro un contesto d’interpretazione teologica. La maggior parte degli studiosi ritiene che i quattro vangeli canonici siano stati composti tra il 70 e il 100 d.C. (verosimilmente Mc nel 70, Mt nell’80, Lc nel 90 e Gv nel 100).
Come si formarono i vangeli?
Essi sono la raccolta e la rielaborazione di tradizioni, prima orali e poi scritte, formatesi tra i suoi seguaci dopo la sua morte. Il ricordo di Gesù venne trasmesso prima oralmente dai suoi discepoli, dai suoi seguaci, dalle comunità in fase di formazione in diverse località (Gerusalemme, Antiochia, Grecia, Asia, Roma). Tale tradizione orale non proliferò per altro in modo incontrollato, ma si formò molto probabilmente piuttosto presto un corpus ben definito di elementi tradizionali, curato e controllato pur permettendo certo un relativo spazio di libertà in abbellimenti e integrazioni narrative. Con gli anni si cominciarono a mettere per iscritto certi racconti e detti di Gesù e solo a distanza di vari decenni (sotto la spinta di circostanze esterne di vario tipo) la tradizione orale e scritta venne raccolta e rielaborata  fino ad arrivare ai vangeli che conosciamo.
Gli originali dei libri che compongono il NT greco non ci sono pervenuti. Tuttavia abbiamo copie (o meglio copie, delle copie, delle copie, ecc.) assai antiche dei libri originali, dette “manoscritti”, peraltro tradotte in varie lingue dell’antico Vicino Oriente (e varie copie di queste traduzioni, dette “versioni” sono a nostra disposizione). C’è da segnalare che, in molte di queste, riguardanti lo stesso testo, si trovano spesso differenze, più o meno importanti, che possono essere imputate sia a distrazioni ed errori dei  copisti, ma anche ad alterazioni e adattamenti intenzionali inerenti alle controversie dottrinali avvenute nel protocristianesimo dove rivaleggiavano “versioni” diverse di cristianesimo.
Per vagliare l'autenticità storica delle fonti occorre tener conto sia della loro datazione (più una fonte è antica, cioè vicina alla vita di Gesù, più verosimilmente riporta fatti storici) sia della indipendenza delle fonti tra loro (più fonti di diversi autori abbiamo da confrontare, più verosimilmente ci avviciniamo alla realtà storica).
Si devono innanzitutto distinguere i primi tre vangeli da quello di Giovanni: i primi sono detti "sinottici" perché sul piano letterario sono in parte dipendenti uno dall'altro e tratteggiano un quadro simile fra loro ma differente rispetto al vangelo di Giovanni. 
Oggi la teoria più sostenuta per spiegare la formazione e le caratteristiche (similitudini e differenze tra loro) dei sinottici  è la ‘teoria delle due fonti’ in base alla quale il vangelo  di Mc è il vangelo più antico e sta alla base di Mt e Lc come loro fonte; inoltre sia Mt che Lc utilizzano la fonte dei logia, detta fonte Q, una fonte desunta, ipotetica in quanto nessun esemplare scritto ci è mai pervenuto, ma che è possibile ricostruire deduttivamente a partire da essi.
Quindi Marco usando diverse collezioni di tradizioni orali e forse scritte, compose il suo vangelo intorno al 70 d.C.. Matteo e Luca, invece, lavorando indipendentemente uno dall'altro, composero i vangeli più lunghi nel periodo tra il 70 e il 100 (più verosimilmente l'80 per Matteo e il 90 per Luca), combinando ed elaborando Marco, la fonte Q e anche tradizioni speciali peculiari a Mt e Lc. Le due fonti fondamentali cui si riferisce la teoria descritta sono pertanto Marco e Q. La soluzione sopra descritta è quella avvallata dalla maggior parte degli studiosi.

Analizziamo ora le singole fonti.
Il vangelo di Marco: sebbene l’autore rimanga non identificato nel vangelo stesso, secondo la più antica tradizione ecclesiastica sarebbe stato scritto a Roma dall'interprete di Pietro, Giovanni Marco, sulla base di esposizioni orali dello stesso Pietro. Nondimeno la natura del materiale incluso in Marco evidenzia come per un periodo esso sia circolato oralmente, prima che l’autore lo raccogliesse e lo trascrivesse; è dunque dubbio che Marco abbia semplicemente trascritto ciò che aveva udito da Pietro. Facendo poi riferimento alla distruzione del tempio di Gerusalemme (Mc 13,2) la data di composizione può collocarsi attorno al momento in cui ebbe luogo questo evento, il 70 dC.. Poiché fu scritto in greco e presenta interpretazioni delle frasi in aramaico, la lingua della Palestina, i lettori a cui si rivolgeva originariamente non erano palestinesi, ma pagani. Inoltre la spiegazione di usi ebraici (7,3-4) e la scarsa conoscenza della geografia palestinese, pone il luogo dell’origine al di fuori di tale regione (forse in qualche città siriaca ellenistica vicina, per esempio Antiochia).
L'evangelista è un collettore (riprende infatti materiali tradizionali, sia scritti che orali, con caratteristiche diverse) ed è teologo che imprime una sua forma al materiale tradizionale di cui dispone, in quanto lo combina insieme all'insegna di ampi motivi cristologici dominanti e crea il suo racconto sul tema fondamentale della passione. L'importanza di Marco per la ricostruzione della dottrina e della vita di Gesù non è legata al suo schema cronologico e geografico - che, come negli altri vangeli, è storicamente poco attendibile in quanto secondario e dipendente da premesse teologiche - bensì per i materiali tradizionali offerti che risalgono in parte molto indietro.
La fonte Q, si è detto, è l'altra fonte a cui Mt e Lc attingono (probabilmente era a loro disposizione in lingua greca e in forma scritta) e contiene quasi esclusivamente detti di Gesù (detti profetici, apocalittici, legali, oltre a direttive per la comunità e parabole) mentre manca un racconto della passione. Verosimilmente riporta la predicazione dei primi cristiani itineranti centrata sull'appello alla sequela di Gesù di fronte all'imminente regno di Dio. Gesù in quanto figlio di Dio è il maestro che annuncia la volontà di Dio ed è atteso come giudice escatologico. La sua morte è interpretata come destino del profeta: Gesù è uno dei molti messaggeri della sapienza fatti oggetto di rifiuto (Lc13,34 ss.; 11,49 ss.) ma manca ogni indicazione che gli artefici di Q intendessero che la morte di Gesù avesse una speciale importanza salvifica.  Q, o meglio, la sua redazione finale (si suppone derivi da raccolte minori e sia stata redatta in più fasi), risale a prima della guerra giudaica, poiché in essa l’avvento del figlio dell’uomo è atteso in tutta tranquillità e ricorre la minaccia che Dio abbandonerà il tempio. Probabilmente è da datare fra il 50 e il 70, e dovrebbe essere sorta in Palestina.
            Il vangelo di Matteo: presumibilmente scritto in Siria (Damasco/Antiochia?) negli anni 80 da un cristiano sconosciuto appartenente ad una chiesa siriaca. Il legame chiaro fra le tradizioni giudeocristiane ed etnico-cristiane e la polemica intensa con le autorità giudaiche, rispecchiano il rapporto che l'autore di fatto intrattiene con il giudaismo. Rispetto a Marco, nel vangelo di Matteo l’elevatezza di Gesù è fortemente sottolineata. Matteo interpreta la vita di Gesù come compimento della legge e dei profeti, e per questo è tratteggiato soprattutto come maestro che propone in modo articolato la volontà di Dio.
            Il vangelo di Luca: sebbene l’autore non sia identificato nel testo, secondo la tradizione ecclesiastica (Ireneo, II sec.) l'autore del terzo vangelo e degli Atti sarebbe Luca, medico e compagno di viaggio di Paolo. Tuttavia oggi il consenso critico, se è d’accordo che sia il vangelo di Luca che gli Atti siano stati scritti da una sola persona (per le similitudini letterarie e tematiche presenti), nella maggioranza (non totalità) dissente dalla tradizionale identificazione di questo autore quale compagno di Paolo per le numerose contraddizioni tra l'esposizione degli Atti e le lettere paoline autentiche. Quindi l’autore, pur rimanendo all’interno della tradizione, rimane sconosciuto. Il vangelo di Lc dev’essere sorto in ambiente mediterraneo (Egeo/Roma?), intorno agli anni 90. Luca dipinge Gesù come Salvatore unto con lo Spirito di Dio, che nel nome di Dio si fà carico dei deboli e degli emarginati e annuncia ad essi la salvezza.
            Il vangelo di Giovanni: tradizionalmente (secondo Ireneo) fu scritto ad Efeso da Giovanni, figlio di Zebedeo, uno dei dodici e fratello di Giacomo. In Gv 21,24 gli editori del vangelo menzionano come suo autore e garante della sua veridicità il discepolo prediletto ma sembrano essere interessati alla sua anonimità letteraria. A un vaglio critico si può al massimo far derivare da Gv 21,20 e dagli altri passi in cui si parla del discepolo amato, l'idea che il gruppo cristiano entro il quale ha preso forma il vangelo di Giovanni abbia fatto risalire la propria tradizione ad un discepolo di Gesù presumibilmente non troppo noto (vissuto più di Pietro ma morto prima dell'attesa parusia del Signore); altri vedono l'autore in Giovanni l'Anziano (teologo della comunità cristiana primitiva) che ha composto la seconda e terza lettera di Giovanni. Si ritiene sia stato composto intorno all’anno 100 in una località non meglio precisabile (Siria/ Efeso?). In ogni caso, la maggior parte degli studiosi moderni non pensa che il vangelo sia di origine apostolica.
Nonostante le differenze marcate di carattere teologico, l'evangelista presuppone una conoscenza di stampo sinottico, probabilmente però usando fonti che stanno alla base dei sinottici e non i sinottici stessi (e quindi indipendentemente da essi).
Tra i quattro vangeli quello di Gv presenta chiaramente l'immagine di Gesù più stilizzata, più spirituale, sulla base di più forti premesse teologiche. Se nei sinottici Gesù predicava il regno di Dio piuttosto che proclamare se stesso, in Gv Gesù parla e opera come il Rivelatore consapevole della propria preesistenza (Gv 8,58) e allo stesso tempo come colui che può essere riconosciuto e ricordato nuovamente soltanto dopo la pasqua e sotto l’azione dello Spirito (cfr. 2,22; 7,39). Tale sua sviluppata cristologia fa rendere problematica per molti la sua storicità. Ciò nonostante storicamente (anche per la sua verosimile indipendenza dai sinottici) non è senza valore, e in alcuni contesti particolari, soprattutto  riguardo la passione, tramanda dei dati che si discostano dai sinottici ma che possono risalire a tradizioni antiche e  forse più autentiche dei sinottici stessi.  

I criteri di storicità 

Al fine di stabilire l’autenticità del materiale evangelico sono stati elaborati dagli studiosi dei criteri di storicità, che permettono con una certa probabilità di determinare se certi fatti o detti riportati nei vangeli che riguardano Gesù possono ritenersi derivati da lui (se non alla lettera almeno nel senso) oppure dalla prima comunità cristiana. Si riportano in sintesi i criteri fondamentali:
- il criterio dell’imbarazzo: questo criterio afferma che difficilmente la chiesa primitiva avrebbe creato del materiale che avrebbe messo in imbarazzo la figura di Gesù; piuttosto l’avrebbe naturalmente soppresso o attenuato nel corso delle redazioni degli scritti (cosa peraltro riscontrabile per certi passi). Esempio fondamentale è il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista, dove Gesù, considerato senza peccato e superiore a Giovanni, si pone in subordinazione a Giovanni. Un caso simile è l’affermazione di Gesù di non conoscere il giorno esatto e l’ora della fine, nonostante la pretesa dei vangeli che egli sia il Figlio di Dio che può predire gli eventi della fine dei tempi. Inoltre: il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la crocifissione da parte dei romani. Questo fa vedere come all’origine dei vangeli non ci fosse una comunità che riportava episodi su Gesù in modo arbitrario e creativo ma che si atteneva alla tradizione originaria, per quanto scomoda. I critici segnalano però che i casi evidenti di imbarazzo sono limitati; inoltre ciò che noi oggi consideriamo imbarazzante potrebbe non essere stato necessariamente così per la chiesa primitiva (un esempio è il grido di abbandono di Gesù in croce);
- il criterio della discontinuità: se certe parole o fatti attribuiti a Gesù non possono essere fatti derivare né dal giudaismo né dalla chiesa primitiva, allora dovrebbero risalire a Gesù. Esempi spesso proposti sono la sua radicale proibizione di ogni giuramento (Mt 5,34-37), il suo rigetto del digiuno volontario per i suoi discepoli (Mc 2,18-22 e par.) e forse la sua totale proibizione del divorzio (Mc 10,2-12 e par.). I critici sostengono che questo criterio presuppone ciò che non possediamo, cioè una sicura e completa conoscenza del giudaismo del tempo di Gesù e del cristianesimo a lui immediatamente successivo, e quindi di ciò che ebrei o cristiani, avrebbero o non avrebbero potuto dire. Non solo Gesù ma anche la chiesa primitiva avrebbe potuto creare o usare un’idea o una espressione unica. Una obiezione più importante è che tale criterio finisce per darci una caricatura di Gesù, separandolo dal giudaismo che lo influenzò e dalla chiesa che da lui fu influenzata. Una rottura completa con la storia religiosa a lui immediatamente precedente o successiva è a priori inverosimile. Se fosse stato cosi unico e fuori dal contesto sarebbe stato incomprensibile, lo si collocherebbe fuori dalla storia;
- il criterio dell’attestazione molteplice: ha più probabilità di essere autentico un detto o un fatto riferito a Gesù se questo è attestato in più di una fonte letteraria indipendente (per es. in Mc, Q, Paolo, Gv) e/o in più di un genere letterario (per es., parabola, racconto di miracolo, profezia). Per esempio, che la predicazione del regno di Dio risalga a Gesù piuttosto che alla chiesa dopo di lui è reso verosimile dal fatto che è attestato praticamente in tutte le fonti e in generi letterari diversi. Tuttavia è anche vero che non è a priori impossibile che un detto inventato anticamente da una comunità cristiana o da qualche “profeta” ispirato del primo cristianesimo (senz’altro presenti e attivi, in base alle testimonianze di Paolo e Atti) rispondesse alla necessità della chiesa tanto perfettamente da entrare rapidamente in un certo numero di stadi di tradizione. Il limite maggiore sta comunque nella difficoltà di stabilire l’indipendenza delle fonti: in quale misura cioè questa indipendenza possa essere garantita dal momento che dietro le fonti scritte c’era una tradizione orale;
- il criterio della coerenza: questo criterio può essere assunto solo dopo che una certa quantità di materiale storico sia stata isolata con i precedenti criteri. Sostiene che altri detti e fatti di Gesù che sono ben congruenti con i dati già ritenuti storici hanno una buona probabilità di essere storici: per esempio, detti riguardanti la venuta del regno di Dio o dispute con avversari sull’osservanza della legge. Tale criterio si appoggia ai criteri precedenti e quindi risente dei loro limiti.
- il criterio del rifiuto e dell’esecuzione: questo criterio, che si differenzia chiaramente dagli altri, orienta la nostra attenzione al fatto storico che Gesù subì una condanna e una fine violenta per mano dei capi giudei e romani e ci rimanda alla ricerca delle cause storiche adeguate che possano spiegare il suo arresto, processo e la sua crocifissione come ‘re dei giudei’. Ci devono essere stati dei conflitti tra Gesù e le autorità per aver determinato questa loro estrema decisione. Tuttavia riguardo la questione della causa dell’arresto e morte di Gesù gli studiosi divergono sui motivi politici oppure religiosi.
Altri criteri sono stati sviluppati ma rispetto a questi sono considerati secondari. Il biblista americano J.P. Meier conclude la sua disamina sui criteri di storicità dichiarando che “solo un attento uso di un certo numero di criteri combinati con la disponibilità a una mutua correzione, può produrre risultati convincenti” e che, in ogni caso, “l’arte, più che la scienza, dell’uso di validi criteri, usualmente produce solo vari gradi di probabilità, non un’assoluta certezza” cosa che peraltro vale per “ogni indagine riguardante la storia antica”.  

I limiti alla storicità 

È dunque opportuno chiarire che la ricerca sul Gesù storico non è una scienza esatta, ma una disciplina umanistica che coinvolge l’esperienza che il soggetto (lo storico) ha di un'altra persona (Gesù) in quanto mediata da altri soggetti che ne hanno fatto l’esperienza (i seguaci di Gesù, i primi credenti e altri). Come per ogni altro personaggio storico, soprattutto antico, la conoscenza che ne può derivare è giocoforza solo ipotetica, probabilistica, e quindi gravata dal rischio che, malgrado possibili verosimiglianze e convergenze, le cose potrebbero in realtà essere andate anche diversamente. Anche solo questa considerazione mostra la differenza insuperabile che esiste tra la conoscenza storica, sempre relativa e condizionata, e la fede, quando la si intende come una fiducia incondizionata.
Nel caso di Gesù la situazione è aggravata dal fatto che non ci si trova davanti a testi prettamente storici ma anche, o soprattutto, teologici, scritti da credenti (tutti sconosciuti a parte Paolo, e vissuti una o due generazioni dopo Gesù) e non da cronisti storici, cioè da fedeli che hanno scritto per glorificare il loro eroe e per convertire a lui la gente (per es. Gv 20,31). Questo risulta anche solo da un confronto interno dei testi che riportano presunti detti e fatti di e su Gesù tra loro diversi e anche contrastanti, nella forma e nel contenuto. Sembra chiaro che l’interesse teologico-apologetico degli evangelisti sia stato superiore al loro interesse storico. E questo può ostacolare l’accertamento della verità sulla sua figura storica.
Come si è detto, poi, non c’è stato un passaggio diretto da Gesù ai vangeli: questi sono il prodotto di un lungo processo prima orale e poi scritto durato diverse decine di anni, processo che contempla sì anche il ricordo e la conservazione della tradizione, ma anche la manipolazione, l’adattamento alle Scritture antiche e la creatività degli evangelisti. È spesso quantomeno difficile stabilire se un avvenimento o un discorso attribuiti a Gesù nei vangeli, risalga effettivamente a lui o piuttosto alla prima comunità cristiana (come rielaborazione teologica, amplificazione o invenzione).
Un’altra importante considerazione, messa in particolare risalto da R. Bultmann (1884-1976) è data dal contesto mitologico del mondo antico. Gli antichi - ebrei, pagani o cristiani che fossero - avevano una visione del mondo ingenua e primitiva. Il loro mondo era diverso dal nostro, era pieno di dèi che andavano e venivano dal cielo alla terra, non si ponevano domande storiche e scientifiche come oggi, non conoscevano le leggi naturali. È evidente la visione mitica del mondo soggiacente nei racconti evangelici: per esempio che il cielo divino fosse uno spazio a volta sopra il firmamento; che esistessero demoni e spiriti ovunque, che frequentemente apparissero angeli per annunciare messaggi divini, come nei racconti della nascita e risurrezione di Gesù. Paolo stesso crede ai demoni o spiriti, e anche a “molti dèi e molti signori” (1 Cor 8,4-5). Questo contesto rende gravoso stabilire la realtà o la metaforicità delle descrizioni inerenti presunti fatti collegati a (o interpretati come) fenomeni soprannaturali (epifanie divine variamente descritte come voci dal cielo, angeli, ecc.; credenze in spiriti, demoni, ‘signori’; credenze di elevazioni al cielo o ‘ritorni’ di antichi profeti, ecc.).
Per di più i vangeli non presentano un’unica immagine chiara e armonica di Gesù: è sì presente come comune denominatore della comunità ecclesiale l’affermazione dell’offerta di salvezza datasi in Gesù, però questa si dipana in una pluralità di cristologie (già presenti all’interno del NT) probabilmente dovute alla complessa esperienza della realtà di Gesù e alla pluralità di attese religiose, alle prospettive culturali dei vari ambienti in cui è stato trasmesso il kerygma. Ci sono differenze e contrasti, non solo tra i sinottici e Giovanni, ma anche tra i sinottici stessi e addirittura all’interno di ogni singolo vangelo. Differenze riguardo località, attività di Gesù, messaggio, significato. Ad esempio si guardi solo all’ignoranza di Gesù in Mc e alla sua onniscienza in Gv, alle diverse forme di istituzioni dell’eucaristia, alla diversità dei luoghi e personaggi implicati nei racconti della risurrezione, ai differenziati detti circa il regno dei cieli. Ci sono passi il cui significato è tutt’altro che chiaro, altri che sono decisamente ambigui. Non solo questo ha legittimato tanti e diversi profili di Gesù da parte di storici e teologi, ma la stessa divisione all’interno della cristianità in diverse confessioni dimostra che non è così facile trovare il messaggio cristiano, ma che si hanno piuttosto una pluralità di messaggi. Dato che il NT è un libro policromo, che presenta vari e diversi volti di Gesù, non ci dobbiamo stupire del fatto che la chiesa non sia una unità.  

Le fonti cristiane apocrife 

La molteplicità delle visioni che possiamo avere di Gesù si amplia ulteriormente allargando l’orizzonte anche agli scritti apocrifi delle origini cristiane. Le fonti cristiane apocrife sono quegli scritti, risalenti prevalentemente al II secolo d.C., che pur riportando detti, narrazioni, storie su e attribuite a Gesù di Nazaret, sono stati considerati eretici dalla chiesa nascente ‘ortodossa’ e quindi col passare del tempo sono spariti dalla circolazione.
Sappiamo della loro esistenza dallo stesso vangelo di Luca (nell’introduzione dice che molti altri hanno già scritto su Gesù), dagli scritti dei padri della Chiesa nel II e III sec. (coi quali polemizzano) e dalla scoperta a Nag Hammadi nel 1945. Tra i tanti altri ricordiamo: Protovangelo di Giacomo (metà II sec.), Vangelo degli Ebioniti (Siria meridionale, sec II), Vangelo degli Egiziani (inizio II sec), Vangelo dei Nazareni (Siria, inizio II sec.), Vangelo della verità (metà II sec.), Vangelo del Salvatore (fine II sec), Vangelo di Filippo (III sec.), Vangelo di Maria (II sec.), Vangelo di Nicodemo (V sec.), Vangelo di Pietro (Siria, inizio II sec.), Vangelo di Tommaso (copto) (inizio II sec.), Vangelo di Tommaso (dell'infanzia) (inizio II sec.), Vangelo secondo gli Ebrei (Egitto, inizio sec II.), Vangelo segreto di Marco (58?1758?1958?), Vangelo di Giuda (metà II sec.).
Qui viene spontaneo porsi delle domande: in base a quali criteri sono stati scelti solo i quattro vangeli (e gli altri scritti del Nuovo Testamento) tra i tanti disponibili? Nella formazione del canone erano implicate solo questioni dottrinali o anche politiche? I vangeli apocrifi (o qualcuno di essi) ci possono aiutare nella ricostruzione del Gesù storico?
Non è facile rispondere in modo esaustivo a queste questioni, perché “numerosi processi di questa selezione delle opere normative rimangono storicamente oscuri, come anche molte norme e ragioni adottate nelle decisioni riguardanti libri particolari”. Nel II sec. soprattutto due fattori contribuirono alla formulazione di un canone, ossia gli scritti di Marcione e gli scritti gnostici: Marcione, essendo sostenitore di un paolinismo radicale riguardo la gratuità della salvezza in Cristo, compose un piccolo canone di autentica dottrina cristiana, che era formato da dieci lettere di Paolo e da una versione del solo vangelo di Luca depurata da tutti gli accenni al Dio di Mosè, avversato da Marcione; i maestri gnostici invece, che spesso rivendicavano il possesso di istruzioni loro trasmesse da incontri segreti col Cristo risorto, erano prolifici nel produrre nuovi vangeli e lettere che asserivano aver origine dal Signore e dagli apostoli. Così un gruppo di rappresentanti delle grandi chiese, tra cui spicca Ireneo di Lione, sottopose a dura critica le dottrine di Marcione e degli gnostici, stabilendo pertanto le condizioni secondo cui un canone cristiano doveva essere articolato.
In linea generale i criteri centrali nella formazione del canone furono l’ortodossia (cioè se la sua dottrina fosse conforme alla tradizione, alla fede trasmessa dalla chiesa), l’apostolicità (nel senso di una tradizione di origine apostolica piuttosto che dirette espressioni da parte degli apostoli), l’antichità (in tempi più possibili vicini a Gesù)  e la “cattolicità”(cioè universalità: i libri dovevano godere di un largo utilizzo tra le chiese “affermate” per essere accettati nel canone). Si deve osservare d’altra parte che la valenza “scientifica” di questi criteri è molto relativa. L’idea di ortodossia non veniva certo dall’esterno ma dall’aver già prima accettato determinate dottrine presenti su determinati testi considerati come ortodossi, dal confronto coi quali si sarebbe valutato o meno l’ortodossia degli altri (autoreferenzialità). E nemmeno questi primi testi derivavano dall’autorità apostolica, come ci insegna la pseudoepigrafia, se non in senso molto indiretto, cioè dalla tradizione apostolica. Del resto punto di forza della letteratura apocrifa era in genere l’attribuzione degli scritti a figure apostoliche o comunque della prima generazione cristiana (ovviamente anche gli eretici usavano la pseudoepigrafia). Le lettere di Paolo e i vangeli furono fissati verso la fine del II sec., mentre ci fu minore accordo sulla lista dei libri inclusi nella terza sezione principale che sarebbe andata a costituire il canone del NT, le lettere cattoliche (1 Pietro, 1 Giovanni, Giacomo, 2 Pietro, 2 e 3 Giovanni, Giuda). Questo processo di accettazione dei testi come canonici fu chiuso alla fine con una serie di decisioni di concili, anche se tutti a carattere locale e nessuno fu un concilio della chiesa universale (ecumenico). Nonostante ciò i disaccordi non cessarono. Il concilio di Laodicea (363) escluse dalla lista l’Apocalisse; i concili di Ippona (393) e di Cartagine (397) approvarono invece l’attuale lista di 27 libri.

Dei vangeli apocrifi quello che attualmente desta più interesse e discussione è indubbiamente il vangelo copto di Tommaso (Tm), che quindi merita una attenta valutazione.  
Il vangelo di Tommaso: Ippolito (m. 235) e Origene parlano di gruppi eterodossi che utilizzano un "vangelo secondo Tommaso". Questo vangelo è stato riscoperto attorno al 1945 tra gli scritti della biblioteca ritrovata a Nag Hammadi. Il vangelo inizia con le parole: "Queste sono le parole segrete che Gesù il Vivente pronunciò e che Didimo Giuda Tommaso ha steso per iscritto" e il cui sottotitolo recita "Il vangelo secondo Tommaso".
Il testo contiene 114 logia di Gesù, ma non materiale narrativo sulle azioni di Gesù all'interno della tradizione dei detti (i miracoli) e nemmeno riferimenti di sorta ad essi. I generi letterari presenti sono, tra gli altri, detti sapienziali, parabole, detti legali, dialoghi brevi, detti profetici. Una buona metà dei logìa ha paralleli nei vangeli canonici. Sorprendentemente mancano quasi del tutto titoli cristologici, riferimenti alla morte e risurrezione di Gesù e detti apocalittici. Gesù non si presenta come il profeta del regno di Dio. Gesù è in primo luogo un maestro sapienziale che tiene lo sguardo al presente (escatologia presentistica): il regno è una entità sovratemporale, origine e fine dell'uomo che ha conosciuto se stesso. Perciò la conoscenza di sé è la conoscenza del proprio “io” divino e della sua appartenenza al regno della luce divina. Il regno dei cieli è dunque presente ugualmente in tutti i tempi, sia nell'uomo che al di fuori di lui (Tm 3,49,50,113). Il vangelo di Tm rappresenta una gnosi allo stato iniziale, senza una cosmologia sviluppata. Dovrebbe risalire all'anno 140, ma forse all'interno del testo generalmente gnostico, ci sono tradizioni che risalgono a date più antiche, non ancora influenzate da presupposti gnostici. Ma al riguardo non c'è unanimità.
Gli autori rimangono nettamente divisi anche sulla questione della dipendenza o indipendenza di Tommaso dai sinottici. Mentre alcuni sono dell'opinione che il suddetto vangelo possa dipendere, in modo diretto o indiretto, da qualcuno se non da tutti i vangeli canonici (fra gli altri, J.P. Meier) e quindi considerano il testo una rielaborazione gnostica dei sinottici, altri sono a favore dell'indipendenza e dell’antichità del vangelo di Tm (fra gli altri, S.J. Patterson) tanto da essere collocato, da altri studiosi nordamericani, accanto, anzi prima, dei vangeli sinottici. Il suo strato più antico risalirebbe infatti agli anni 50-70. In questa ottica cambia drasticamente il profilo della vita e dell'insegnamento di Gesù: Gesù non sarebbe un apocalittico e neanche un messia o profeta messianico, ma un maestro di sapienza alternativa; ad esempio per J.D. Crossan Gesù predica un regno di Dio già esistente, qui ed ora, come realtà presente: è un processo dominato dall'amore, dalla solidarietà, senza barriere ne contrasti tra gruppi sociali; lo associa ad un filosofo cinico (magari non greco ma giudaico) che si rivolge al popolo e con le parole e gli atti metteva in dubbio le strutture del suo mondo sociale, che disumanizzavano ed escludevano tante povere persone.
In conclusione si può affermare con ragionevole certezza che il vangelo di Tommaso abbia custodito, almeno in parte, tradizioni antiche, molto probabilmente autentiche e che potrebbero rappresentare un filone tradizionale autonomo accanto alla tradizione sinottica; ciò nonostante spingersi oltre a questa visione relativamente cauta, e assegnare al vangelo di Tommaso uguale o maggior valore storico dei vangeli sinottici, appare un’operazione tutt’oggi temeraria che non trova conferma nella maggioranza degli studiosi.
 
Anche lo storico E. P. Sanders afferma di condividere “l’opinione prevalente fra gli studiosi secondo cui ben poco dei vangeli apocrifi potrebbe risalire in qualche modo ai tempi di Gesù. Essi sono leggendari e mitologici, e di tutto il materiale apocrifo solo alcuni detti riportati nel Vangelo di Tommaso sono degni di considerazione. Ciò non significa che possiamo operare una distinzione netta: i quattro vangeli canonici da considerare storici contro i vangeli apocrifi da considerare leggendari. Ci sono infatti tratti leggendari nei quattro vangeli del NT e anche elementi di creazione successiva. In ogni caso è ai quattro vangeli canonici che dobbiamo rivolgerci per trovare tracce del Gesù storico”.
L’importanza dei vangeli apocrifi risiede soprattutto nelle informazioni che ci danno sul cristianesimo del secondo secolo. Ci fanno comprendere quanti diversi gruppi di cristiani esistessero in quel periodo, quanti vangeli circolassero, quanti dibattiti appassionati si svolsero nelle chiese. A quel tempo non esisteva ancora il NT come lo conosciamo noi oggi, non esistevano scritti normativi. In particolare, il fatto che i vangeli fossero molti e che per molto tempo si continuasse a scriverne di nuovi - non solo di quelli poi considerati eretici, ma lo stesso Luca, che sapeva esistevano già tanti altri vangeli tra cui quello di Marco, ne scrisse un altro (e ciò vuol dire che pensava ci fossero altre cose da scrivere su Gesù, cosa che vale anche per Giovanni) – sembra significare che i quattro vangeli più tardi ritenuti canonici non erano considerati un punto di riferimento unico.  

Le fonti non cristiane 

            Le fonti non cristiane su Gesù sono importanti perché potrebbero confermare, dall’esterno della tradizione protocristiana, l’esistenza storica di Gesù e alcuni aspetti della sua figura.
La fonte non cristiana più significativa è quella dello storico giudeo Giuseppe Flavio (37/38 d.C.- poco dopo il 100) nella sua opera Antichità giudaiche scritta attorno all’anno 93 dove in due passaggi parla di Gesù.
Il primo riporta la persecuzione e lapidazione di Giacomo a Gerusalemme da parte del Sinedrio a causa della violazione della legge, avvenuta nell'anno 62: Giacomo viene espressamente identificato come "fratello di Gesù, colui che veniva chiamato il Cristo". L'appellativo neutro dato da G. Flavio a Giacomo (fratello di Gesù e non ad esempio fratello del Signore o del Salvatore) non quadra né col NT né con l'uso patristico primitivo, e così verosimilmente non proviene dalla mano di un interpolatore cristiano; l'autenticità del passo si può considerare accertata dalla maggior parte degli studiosi.
Più discusso è invece il più ampio e cosidetto "Testimonium Flavium" perché tradisce una mano cristiana mentre Giuseppe era e restò ebreo. Il testo così dice: “Verso questo tempo visse Gesù, uomo saggio [se pur conviene chiamarlo uomo]; infatti egli compiva opere straordinarie, ammaestrava gli uomini che con gioia accolgono la verità, e convinse molti giudei e greci. [Egli era il Messia]. E dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo, lo condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall'inizio lo amarono. [Infatti apparve loro il terzo giorno, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e moltissime altre meraviglie]. E ancora fino a oggi non è scomparsa la tribù dei cristiani che da lui prende nome" (Ant. XVIII, 3,3). Tra parentesi sono messe le frasi che chiaramente sono state aggiunte dai copisti cristiani. Secondo J.P.Meier “la spiegazione più probabile del Testimonium è che, privato delle tre affermazioni ovviamente cristiane, contiene quanto Flavio Giuseppe scrisse”. Inoltre il testo così ottenuto somiglia molto a una versione araba del testimonium flaviun, citata da Agapio, vescovo di Gerapoli (sec. X) nella sua “Storia cristiana universale”, in cui mancano tutti gli elementi che sono sospetti come interpolazioni cristiane; tuttavia poiché non si può chiarire con precisione donde Agapio abbia preso la sua fonte, non si può esprimere alcun giudizio certo sull’autenticità del testo. Altri studiosi ipotizzano più rilevanti interventi cristiani nel testo e propongono varie ricostruzioni dell'originale, e non sono mancati coloro che hanno rigettato completamente la storicità del brano; ma, in definitiva, l'ipotesi più probabile sembra quella che considera un nucleo autentico nel passo di Flavio, in cui in modo neutrale lo storico considera Gesù come maestro e fautore di miracoli, menziona la sua condanna a morte e l'esistenza del gruppo di discepoli che anche dopo la sua morte gli restò fedele: tutti dati che concordano sostanzialmente coi dati della tradizione cristiana.
            La letteratura tradizionale del giudaismo rabbinico cita Gesù molto raramente e sempre e solo come oggetto di un'aspra polemica inerente la separazione definitiva tra il movimento cristiano e il giudaismo verosimilmente dopo il IV sec, dalla quale si ricava poco o nulla di storicamente attendibile. Peraltro si può rivelare come anche in questo contesto si faccia sempre riferimento alla condanna a morte di Gesù e agli episodi della sua esecuzione (ad es. Gesù condannato per stregoneria e poi lapidato) segno del ruolo importante della passione nei primi diverbi tra ebrei e fedeli cristiani.
 
            Altre frammentarie testimonianze antiche si hanno dagli storici romani Tacito e Svetonio.
Lo storico romano Tacito (56/57-118) negli Annales (115-117 d.C.) riferendo dell'incendio scoppiato a Roma nel 64 (Ann. XV, 38-43), afferma che Nerone, per ridurre al silenzio la diceria popolare secondo la quale l'incendio sarebbe stato ordinato, "fece passare per colpevoli e sottoporre a raffinatissimi tormenti coloro che il volgo chiamava cristiani  e odiava per le loro azioni nefande. Cristo, il fondatore della setta, dal quale avevano preso il nome, era stato giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio. Ma la rovinosa superstizione, repressa per il momento, dilagava di nuovo non solo per la Giudea, luogo di origine di quel male, ma anche per Roma, dove confluiscono e trovano seguito tutte le atrocità e le vergogne del mondo"(Ann. XV, 44).
Tacito dunque era a conoscenza sia dell'esecuzione di Gesù sia che la religione cristiana avesse avuto origine in Giudea (solo incidentalmente in quanto alle ripercussioni su Roma) e condivide il giudizio sprezzante nei confronti del cristianesimo (definito setta, superstizione). Il tono decisamente anticristiano del testo rende quasi impossibile ritenere sia frutto di interpolazioni successive da parte di autori cristiani. Si discute sulla sua fonte d’informazione, dipendente o indipendente da fonti cristiane: per alcuni potrebbe essere il Testimonium di Giuseppe Flavio (ma improbabile); oppure Tacito potrebbe semplicemente aver ripetuto ciò che era risaputo circa i cristiani all’inizio del II sec. (era stato governatore in Asia Minore nel 112 d.C. circa); oppure potrebbe averlo saputo dal suo amico Plinio il Giovane o anche dagli archivi romani. In ogni caso, mentre al massimo Tacito ci fornisce un’altra antica testimonianza non cristiana dell’esistenza, della collocazione temporale e geografica, della morte e dell’incidenza storica perdurante di Gesù, non dice nulla di nuovo che Flavio Giuseppe non abbia già detto.
Un secondo autore storico romano Svetonio (70-130 d.C.) menziona in una notizia frammentaria il nome di Cresto nella sua opera Vite dei Cesari, scritta verso il 120 d.C., dove parla dei provvedimenti presi dall'imperatore Claudio nei confronti delle varie province, regioni e popolazioni dell'impero. A proposito dei giudei di Roma così si esprime: "Poiché i giudei provocavano costantemente disordini per istigazioni di Cresto, egli [Claudio] li espulse da Roma "(Claudio, 25, 4).
Gli studiosi spesso suggeriscono che il Cresto qui menzionato sia in realtà Cristo (Christus, pronunciato in quel tempo allo stesso modo di Chrestus). Questa notizia corrisponde a quanto dice Luca in At 18,2, è confermata dallo storico Orosio (VII,6, 15), e consente di datare l'espulsione dei giudei nel 49 d.C.. Forse la fonte usata da Svetonio identificava Cresto con Gesù, mentre Svetonio fraintese il nome con quello di qualche schiavo ebreo (il nome Cresto era comune) che provocava scompiglio nelle sinagoghe romane, in seguito alla predicazione messianica dei cristiani, durante il regno di Claudio. Anche se è così, il testo ci parla semplicemente di cristiani giudei che propagavano la loro fede nelle sinagoghe romane negli anni 40 -50 d.C..
Queste testimonianze extra bibliche dei due storici romani relative alla persona e opera storica di Gesù rimangono dunque incerte nella loro indipendenza, risalgono all’inizio del II sec. e direttamente confermano solo l'esistenza del movimento del cristianesimo in quel periodo a Roma, e indirettamente qualche notizia su Gesù nella qualità di suo “fondatore”.

            Il nome di Cristo ricorre poi in un documento romano, in una lettera che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia verso il 110 d.C., invia all'imperatore Traiano per chiedergli istruzioni riguardo i provvedimenti da usare contro i cristiani. Plinio considera il cristianesimo una "superstizione" tra le cui pratiche religiose vi è quella di riunirsi "in un giorno fisso per cantare un inno a Cristo come fosse dio" (Epist.X, 96,97). Da questa testimonianza si può solo dedurre che all'inizio del II sec. i cristiani, già diffusi in Bitinia, nelle loro assemblee cultuali professano la fede in Cristo.

            Infine si può citare una lettera privata di un certo Mara bar-Serapion, stoico siriaco (non ebreo e non cristiano), che raccomanda al figlio la sapienza esemplificata da Socrate, Pitagora e da un "re saggio" che gli ebrei hanno ucciso e che perciò "furono spogliati del loro regno" ma che comunque continua a vivere in loro "grazie alle sagge leggi che ha promulgato". La lettera è datata dal 73 d.C. in poi, per alcuni nel II- III sec d.C.. Le affermazioni su Gesù sembrano dipendere in parte da fonti cristiane, ma è in ogni caso una testimonianza che il "re dei Giudei" presentato da Matteo affascinò anche sapienti pagani, come si racconta in Mt 2,1ss.

In conclusione il valore delle testimonianze non cristiane consente di ritenere l’esistenza storica di Gesù come del tutto ragionevole, tale da procurare meno problemi storici dell’ipotesi della sua non esistenza. Insomma, sono pochi quelli che oggi dubitano che Gesù sia veramente esistito.

BIBLIOGRAFIA
Achtemeier P.J.- Society of Biblical Literature (a cura di), Il dizionario della Bibbia, or.1985, riv. e             agg. 1996, Zanichelli 2003Augias C.- Pesce M., Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006
Bertalotto P., Il Gesù storico. Guida alla ricerca contemporanea, Carocci 2010
Bonanate U., Nascita di una religione. Le origini del cristianesimo, Bollati Boringhieri 1994
Bontempelli M.– Preve C., Gesù, uomo nella storia, Dio nel pensiero, CRT 1997
Borg. M.- Wright N.T., Quale Gesù? Due letture, or.1999, Caudiana 2007
Bornkamm G., Gesù di Nazareth. I risultati di quarant’anni di ricerche sul “Gesù della storia”, or.     1956, riv. e agg. 1975, Claudiana 1981
Brown R.E., Introduzione alla cristologia del Nuovo Testamento, or.1994, Queriniana 1995
Calimani R., Gesù l’ebreo, or.1990, Mondadori 2001
Castellucci E., Davvero il Signore è risorto, Cittadella Editrice 2005
Craveri, M.  Un uomo chiamato Gesù, or.1993, Demetra 1996
Crossan J. D., Gesù. Una biografia rivoluzionaria, or.1994, Ponte alle Grazie 1994
Davis S.T.- Kendall D.- O’Collins G. (a cura di), La risurrezione. Un simposio interdisciplinare        sulla risurrezione di Gesù, or.1997, Libreria editrice Vaticana 2002
Den Heyer, C.J., La storicità di Gesù, or.1996, Claudiana 2000
Dotolo C., Sulle tracce di Dio, Messaggero1992
Ehrman B.D., I cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le sacre scritture,         or.2003, Carocci 2005
Fabris R., Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella Editrice 1983
Flusser D., Jesus, or.1968, Morcelliana 1997
Flusser D., Il giudaismo e le origini del cristianesimo, or.1988, Marietti 1995
Gnilka, J., Gesù di Nazaret. Annuncio e storia, or.1990, Paideia 1994
Gounelle A., Parlare di Cristo, or.2003, Claudiana 2008
Jossa G., La verità dei vangeli. Gesù di Nazareth tra storia e fede, Carocci 1998
Jossa G., Gesù messia? Un dilemma storico, Carocci 2006
Kern W.- Pottmeyer H.J.- Seckler M. (diretto da), Corso di teologia fondamentale, vol. II Trattato          sulla rivelazione, or.1985-1988, Queriniana 1990
Kessler H., La risurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico, teologico-fondamentale e             sistematico, or.1985, riv. e agg. 1995, Queriniana 1999
Kummel, W.G., Il Nuovo Testamento. Storia dell’indagine scientifica sul problema             neotestamentario, or.1958, riv. e agg. 1970, Il Mulino 1976
Kung, H.,  Essere cristiani, or.1974, Mondatori 1981
Latourelle R.-Fisichella R. (diretto da), Dizionario di teologia fondamentale, Cittadella Editrice           1990
Lessing, G.E.,  La religione dell’umanità,  or.1750 -1777, Laterza 1991
Machovec M., Gesù per gli atei, or.1972, Cittadella Editrice 1974
Marguerat D., Risurrezione. Un percorso di vita, or. 2001, Claudiana 2003
Marxen W., Il terzo giorno risuscitò…La risurrezione di Gesù: un fatto storico?, or.1990,              Claudiana 1993
Meier J. P., Gesù, in AAVV, Nuovo grande commentario biblico, 1990, Queriniana 1997, 1731-46
Meier J.P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol 1. Le radici del problema e della    persona, or.1991, Queriniana 2001
Meier J.P., The present state of the ‘Third quest’ for the historical Jesus: loss and gain, in Biblica            80, 1999
Messori V., Ipotesi su Gesù, SEI 1976
Muller U.B., L’origine della fede nella risurrezione di Gesù. Aspetti e condizioni storiche, or. 1998,         Cittadella editrice 2001
O’Collins G., La fede pasquale. Credere nel risorto, or. 2003, Cittadella editrice 2008
Pagels E., I vangeli gnostici, Mondadori 1981
Patterson S.J., Il Dio di Gesù. Il Gesù storico e la ricerca del significato, or.1998, Claudiana 2005
Pierozzi L., Gesù è risorto? Ciò che è storia ciò che è leggenda nella figura e nell’opera di Gesù di           Nazareth, Firenze Atheneum 2005
Reimarus H.S., I frammenti dell’anonimo di Wolfenbuttel pubblicati da G.E.Lessing, or.1774 -1778,            Bibliopolis 1977
Riches J., La Bibbia, or. 2000, Laterza 2002
Roloff J., Gesù, or. 2000, Einaudi 2002
Rossano P.- Ravasi G.- Girlanda A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica,  Edizioni          Paoline 1988
Sanders E.P., Gesù. La verità storica, or.1993, Mondadori 1995
Schlosser J., Gesù di Nazaret, or. 1999, Borla 2002
Schweitzer A., Storia della ricerca sulla vita di Gesù, or. 1906, riv. e ampl. 1913, Paideia 1986
Segalla G., Sulle tracce di Gesù. La “terza ricerca”, Cittadella Editrice 2006
Smith M., Gesù mago, or.1977, Gremesse Editore 1999
Theissen G.-Merz A., Il Gesù storico. Un manuale, or.1996, Queriniana 2003
Torres Queiruga A., La risurrezione senza miracolo, or. 2005, La meridiana editrice 2006
Vermès G., Gesù l’ebreo, or.1973, Borla 2001
Vermès G., La religione di Gesù l’ebreo. Una grande sfida al cristianesimo, or.1993, Cittadella        2002
Vermès G., I volti di Gesù, Bompiani 2000
Wilson A. N., Gesù. L’uomo, la fede, or.1992, Instar libri 1997Wright N.T., Gesù di Nazareth. Sfide e provocazioni,  or. 2000, Claudiana 2003
 
 

Nessun commento:

Posta un commento