L’Islam nasce in Arabia ed è tuttora
strettamente connesso alla cultura araba, anche se soltanto una minoranza dei
musulmani d’oggi sono arabi. E’ diffuso in varie regioni dell’Asia e
dell’Africa, e ne fa parte circa un sesto della popolazione mondiale. A
tutt’oggi è la seconda religione del mondo, dopo il cristianesimo.
Profilo storico
L’origine dell’Islam si fa risalire
a Maometto (570 circa – 632). Quattro
sono fondamentalmente le fonti storiche che forniscono notizie biografiche su
Maometto: 1. il Corano, che però è
piuttosto scarno e allusivo sugli eventi della sua vita prima della
rivelazione; 2. la Sira (“biografia”)
, che non ci è pervenuta nella stesura originale di Ibn Ishak (m. 767) ma nella
rielaborazione di Ibn Hisham (m. 883), 3. i “detti” e “fatti” di Maometto
raccolti negli Hadith (racconti), e
4. la storia dell’Islam nelle storie universali (fondamentale è quella di
al-Tabari, m. 923).
Maometto nacque vicino a la Mecca,
fiorente città mercantile. Rimase orfano da bambino e fu preso sotto la tutela
dello zio, Abu Talib, che influenzò in modo significativo la vita del giovane
nipote. Grazie allo zio, Maometto venne assunto come capo carovana della ricca
vedova di un mercante, che, a venticinque anni, sposò. La Mecca non era
soltanto un importante centro commerciale, ma anche religioso: sia in città sia
tra le tribù dei beduini si era diffuso il culto degli dèi ed entità
soprannaturali (spesso si trattava di divinità tribali, poiché la tribù e la
discendenza erano alla base del sistema di vita nomade). Quando nelle comunità
si attenuò il nomadismo a favore di una maggiore sedentarietà cominciò a
crescere l’influenza delle due grandi religioni, l’ebraismo e il cristianesimo,
presenti in Arabia.
Maometto
ogni anno si ritirava in una grotta del Monte Hira, fuori città a meditare.
All’età di quarant’anni, mentre meditava avrebbe avuto una visione: gli sarebbe apparso l’arcangelo Gabriele che gli avrebbe
manifestato delle rivelazioni divine.
Il Corano è dunque la raccolta delle rivelazioni ricevute da Maometto nel corso
degli anni successivi, e costituisce il testo sacro dei musulmani (vengono poi
gli “hadith”, raccolte di narrazioni relative a detti e fatti del profeta,
guida ufficiale per tutti gli aspetti della vita quotidiana dei musulmani).
Maometto sarebbe dunque il mediatore
e l’annunciatore della rivelazione di Dio agli uomini. Dopo le prime
rivelazioni Maometto cominciò a predicare pubblicamente alla Mecca. Temendo le
ripercussioni economiche della predicazione monoteistica di Maometto contro le
divinità onorate dai pellegrini del famoso santuario centrale della Mecca (la
kaba), i potenti della città lo perseguitarono insieme ai suoi seguaci,
boicottando economicamente il suo clan. Dopo la morte dello zio e della moglie,
la situazione alla Mecca divenne sempre più difficile, mentre i numerosi adepti
della città di Medina si dichiararono pronti ad accoglierlo presso di loro.
Così nel 622 giunse a Medina, dove divenne presto un leader non solo religioso
ma anche politico. Gli assalti alle carovane dirette alla Mecca gli prepararono
una solida base economica. Allo stesso tempo lottava anche per la conquista del
potere alla Mecca, e quindi per l’accesso al santuario della kaba. La sua era
anche una battaglia per diffondere la nuova religione. La guerra in nome di
Allah era più importante di qualsiasi altro principio morale e religioso. Nel
corso dei dieci anni successivi Maometto conquistò la Mecca, e con la guerra o
con azioni diplomatiche, riunì sotto il suo potere vaste regioni dell’Arabia.
Prima della sua morte aveva unificato il paese in un solo vasto regno sulla
base di vincoli religiosi che erano diventati più importanti degli antichi
legami di discendenza e di tribù.
Dopo
la morte del profeta, la guida spirituale e politica della maggioranza dei
musulmani fu assunta da una linea di successione di califfi ovvero
“rappresentanti” di Maometto. Nonostante la spaccatura interna (più che per
controversie religiose era per la diatriba su chi dovesse detenere il potere:
nacque la scissione tra shiiti e sunniti), l’Islam si diffuse molto in fretta.
Nel secolo successivo alla morte di Maometto i conquistatori arabi si spinsero
dal nord Africa all’Europa attraverso lo stretto di Gibilterra, e si arrestò in
Francia. Per molti secoli gli arabi dominarono la regione meridionale della
penisola iberica dove ancora oggi permangono tracce della loro cultura. Fino ai
nostri giorni l’Islam è stata la religione dominante nel nord Africa,
nonostante il colonialismo europeo del secolo scorso; da qui l’Islam si è poi diffuso
in vaste regioni dell’Africa occidentale e orientale; arrivò anche in India e
in Indonesia.
Aspetti contenutistici
La
dottrina religiosa islamica è
riassunta nella sintetica professione di fede: “Non c’è altro Dio al di fuori
di Allah, e Maometto è il suo profeta”. Monoteismo
e rivelazione di Maometto
costituiscono l’essenza della fede islamica.
Monoteismo: Maometto rifiutò
categoricamente il politeismo arabo, e predicò invece la fede in un solo Dio
(anche se questo in realtà è avvenuto gradualmente). Dio è creatore e giudice:
ha creato il mondo e tutto ciò che esiste e nell’ultimo giorno risveglierà
tutti i morti e li giudicherà. Non vi è alcun divieto nell’Islam di godere le
gioie della vita terrena, ma non si deve dimenticare che la fase terrena non è
che una preparazione alla vita che comincerà dopo il giudizio di Dio. Questa
vita, all’inferno o al paradiso, è descritta in dettaglio nel Corano; se la si
debba interpretare in senso letterale o figurato, è una questione aperta e
tutt’ora dibattuta. La credenza in un giudizio dopo la morte è importante per
molti arabi per sancire un dovere morale per il buon funzionamento della
società. Dio però oltre che giudice è anche amorevole e misericordioso. Anche
se Dio esige la sottomissione, Egli è anche colui che perdona e aiuta gli
uomini. L’uomo non può vantare meriti di fronte a Dio; non può invocare
giustizia. Salvezza e fede sono una grazia di Dio in cui è dato solo sperare.
Rivelazione: Dio avrebbe dunque
comunicato la sua parola agli uomini attraverso il suo profeta Maometto.
Maometto è stato l’ultimo di una lunga seria di profeti che Dio ha inviato
sulla terra: Adamo, Abramo, Mosè, Davide, Gesù. La rivelazione islamica si pone
dunque in continuità con l’esperienza profetica degli uomini dell’A.T. e con la
stessa esperienza di Gesù (considerato l’immediato predecessore di Maometto).
Semmai la rivelazione di Dio è giunta con Maometto alla perfezione.
Inizialmente Maometto si considerava appartenente alle tradizioni giudaica e
cristiana, ma in seguito prese le distanze da entrambe. L’attacco più duro al
cristianesimo da parte di Maometto riguarda il concetto di trinità, che il
profeta ha considerato come una forma di politeismo. Dal Corano Gesù è definito
come il Messia figlio di Maria (3,45), da lei concepito per intervento divino
(21,9) e inviato di Dio. Gli sono anche attribuiti miracoli ma il Corano nega
esplicitamente che egli fosse Dio (5,17) o figlio di Dio (4,171; 9,30) e
facente parte della trinità (4,171; 5,73).
I
doveri religiosi dei musulmani si
riassumono solitamente nei cinque pilastri:
professione di fede, preghiera,
digiuno, elemosina, pellegrinaggio alla Mecca. Tutti sono prescritti dal
Corano, ma nessuno vi è prescritto dettagliatamente. Per quanto riguarda le
esatte modalità dell’osservanza, vi sono differenze fra sunniti e sciiti, e fra
le quattro scuole giuridiche.
Tradizionalmente l’Islam non
distingue tra religione e politica, tra fede e morale. I doveri religiosi,
morali e sociali degli uomini sono tutti stabiliti nella legge sacra dei
musulmani, shari’a. Questa è contenuta nel Corano, che è molto di
più di un testo sacro, perché è anche un codice di regole e istruzioni per la
gestione della società, dell’economia, del matrimonio, del ruolo della donna, e
così via.
Divisioni interne: fin dai tempi di Maometto, la
comunità islamica ha avuto la tendenza a dividersi in vari gruppi, sia per
fattori politici e culturali, sia teologici e filosofici. Fin dal primo secolo
dell’era islamica, in concomitanza con la guerra e le iniziative diplomatiche
per la diffusione della religione, si sviluppò una corrente che considerava
fondamentali la meditazione ed il ritiro spirituali: il sufismo. Questa nacque anche come reazione al lusso che stava
dilagando alla corte del califfo a Bagdad, e sosteneva anche una diversa
concezione del divino, un Dio di amore con cui gli uomini potevano raggiungere
un’unione mistica in contrasto con l’immagine tradizionale del Dio giudice
supremo e inavvicinabile, a cui gli uomini devono sottomettersi. Da cui il
conflitto con l’Islam ufficiale.
La divisione più importante rispetto
all’Islam sunnita, la corrente
principale, fu il ramo sciita: questi
sostenevano che il leader dovesse essere un diretto discendente di Maometto
(costituivano infatti il partito del cugino e genero di Maometto), mentre i
sunniti pensavano che il potere spettasse a chi lo deteneva di fatto. Riguardo
l’interpretazione e l’applicazione della legge coranica, mentre i sunniti si
basano sul principio del “comune accordo” (tra capi religiosi e fedeli)
ritenendo che la rivelazione sia avvenuta una sola volta e nella sua forma
definitiva, i musulmani sciiti sono invece convinti che la rivelazione si
perpetui attraverso i loro capi, gli imam, che diventano quindi la sola fonte
dell’autorità e della guida religiosa. Gli sciiti hanno inoltre sviluppato una
propria teologia originale, dei commentari del Corano, un proprio sistema
giuridico e modalità particolari di svolgimento delle pratiche cultuali. Gli sciiti assommano a circa un decimo dell’intera
popolazione musulmana.
Considerazioni sulla credibilità
teologica
Analizziamo e valutiamo i seguenti
aspetti fondativi della religione islamica:
1.
l’esperienza mistica di Maometto
2.
la composizione del Corano e alcuni aspetti contenutistici
3.
altri elementi dell’apologetica musulmana
1.
L’esperienza mistica di Maometto
Secondo la credenza islamica
Maometto sarebbe un profeta scelto da Dio che avrebbe ricevuto delle
rivelazioni dall’angelo Gabriele che gli avrebbe “dettato” il Corano. Dunque le
vicende del suo eventuale (primo) incontro col divino stanno all’origine di
tutto quello che ne è seguito e ne sono la causa remota e la più profonda
radice, e pertanto necessitano di esser chiarite. Come sarebbero avvenute? È
possibile averne conferma storica? come appurarlo? sono credibili?
Il Corano è molto sobrio al
riguardo, come anche a quello che potrebbe aver anticipato tale rivelazione. La
tradizione islamica infatti racconta che diversi eventi misteriosi avrebbero
preceduto la rivelazione cruciale, cioè sogni, visioni notturne e strane
sensazioni. Persino dell’evento cruciale accadutogli sul monte Hira vi sono
soltanto cenni, forse per non enfatizzare il carattere prodigioso e in
conformità al tono generale del libro che smentirà a più riprese che il profeta
fosse un uomo diverso dagli altri, concentrando tutta l’attenzione sui
contenuti del messaggio di cui era latore.
L’inizio della sura della Stella
tuttavia richiama brevemente quel momento, senza troppo ben definirlo: “ Per la
stella, quando declina! / Il vostro compagno non erra, non s’inganna / e di suo
impulso non parla. / No, ch’è rivelazione rivelata, /appresagli da un Potente
di Forze / sagace librantesi / alto sul sublime orizzonte! / Poi discese
pendulo nell’aria/ s’avvicinò a due archi e mano ancora/ e rivelò al servo Suo
quel che rivelò. / E non smentì la mente quel che vide…” (53, 1-11). Evento
riproposto in forma altrettanto concisa in un altro passo: “Giuro per i pianeti
/correnti occultantesi/ e per la notte quando s’ottenebra/ e per l’aurora
alitante luce sulla notte, / che questo è parola d’un nobile Messaggero / potente presso il Signor del trono e ben
saldo / obbedito colà fedele; / e il vostro compagno non è un folle/ ma lo vide
sul limpido orizzonte, / e non è avaro dell’Arcano di Dio, / né segue parole di
un demone lapidato” (81, 15-25).
Le modalità di questo primo contatto
non sono dunque precisate nel dettaglio, ma è chiaro che si trattò di una visione: un essere misterioso, poi
identificato con l’angelo Gabriele, sarebbe apparso all’orizzonte per poi
avvicinarsi a Maometto e comunicargli la rivelazione. I giuramenti che aprono i
due brani servono a dare maggior enfasi e autorità a ciò che viene riferito e
in entrambi i casi si allude alle riserve di quanti, sentendo tale narrazione,
avrebbero potuto avanzare dubbi sulla sincerità del Profeta o sulla natura
dell’essere che gli si era manifestato (P. Branca). Gli esegeti musulmani hanno
ritenuto quasi all’unanimità che i primi versetti uditi da Maometto siano stati
quelli con cui si apre la sura del Grumo di sangue: “Grida, in nome del tuo
Signore, che ha creato, / ha creato l’uomo da un grumo di sangue! / Grida! Chè
il tuo Signore è il Generosissimo, / Colui che ha insegnato l’uso del calamo, /
ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva” (96, 1-5), ma non vi sono indicazioni
precise al riguardo. Ne consegue che l’esperienza teopatica iniziale fu
soprattutto visiva, anche se accompagnata dalla prime parole rivelate: non
tanto di queste si parla nel Corano, quanto della misteriosa figura apparsa al
Profeta.
Nella tradizione islamica tuttavia
non mancano maggiori dettagli sulla visione. Nella Sira (biografia) vi si racconta: “Ora, una notte, venne a me
Gabriele, mentre dormivo, con un panno, e disse: ‘Recita (leggi)’. Gli risposi:
‘Non so recitare (leggere)’. Ed egli me lo premette sul petto in modo che
credetti di morire. Poi mi lasciò e disse: ‘Recita (Leggi)’. Quando Maometto
rifiutò di recitare/leggere per la seconda volta, l’angelo gli disse: ‘Recita
orsù nel nome del tuo Signore che ha creato,- che ha creato l’uomo da sangue
raggrumato. – Egli ha insegnato l’uso della penna,- Egli ha istruito l’uomo in
ciò che non sapeva’. Poi Maometto continua: ‘Mi svegliai ed era come se uno
scritto fosse vergato nel mio cuore. Uscii dalla caverna e quando mi trovai in
mezzo al monte, udii una voce che diceva: ‘O Maometto, tu sei l’apostolo di Dio
e io sono Gabriele’. Alzai gli occhi, e vidi Gabriele in figura d’uomo con le
gambe incrociate, senza avanzare né retrocedere, e quando distoglievo il mio
sguardo da lui lo vedevo sempre all’orizzonte, dovunque lo volgessi”.
L’esperienza dunque così descritta
non sarebbe stata indolore ed avrebbe spaventato Maometto. Simili rivelazioni
si sarebbero ripetute a intervalli regolari (tranne una breve interruzione nei
primi anni) fino alla sua morte, due decenni dopo.
L’atteggiamento di Maometto
all’inizio del suo ministero è paragonabile a quello di Geremia che, ben
lontano dal voler intraprendere una missione religiosa, resiste alla chiamata
di Dio. Solo nella grotta e sopraffatto dall’esperienza visionaria, Maometto si
tormenta, dubitando del fatto di essere stato chiamato da Dio. Dice il Corano:
“Non t’aspettavi che ti fosse dato il Libro”. Si sente lacerato dall’incertezza
sull’autenticità della rivelazione e per gli straordinari doveri del ruolo
profetico: “Ahimè, poeta o posseduto…Andrò in cima alla montagna e mi butterò
giù, mi ucciderò e sarò in pace”. Maometto poi si rivolge alla moglie Khadija
per raccontarle l’accaduto ed accertarsi di non essere stato ingannato da un
miraggio, e lei lo consola. Si recano poi da Wraqa, un suo cugino cristiano con
seri interessi religiosi, per sapere che cosa ne pensi, e questi riconoscendo
le analogie fra l’esperienza di Maometto e quella di Mosè, crede che egli abbia
ricevuto una chiamata autentica, identifica il messaggero della rivelazione con
l’angelo Gabriele e predice che Maometto sarà perseguitato e scacciato dalla
Mecca. Pur superate la sorpresa e la paura provate la prima volta, e benchè si
fosse convinto (dopo un iniziale periodo di dubbi) della genuinità del
messaggio ricevuto, Maometto continuò a reagire alle sue esperienze
straordinarie con manifestazioni fisiche di disagio: si narra che
all’approssimarsi delle rivelazioni egli prendesse a sudare, anche se il clima
era freddo, e fosse scosso da tremiti, chiedendo qualcosa con cui coprirsi.
Quest’ultimo particolare trova conferma nel Corano, nel quale Dio si rivolge a
Maometto apostrofandolo più volte come “colui che è avvolto nel mantello” (sure
72,74). Sembra che le rivelazioni seguenti si verificassero in due maniere
diverse: o in forma estatica, per cui Maometto usciva dalle normali condizioni
fisiche e psichiche e riceveva l’ispirazione, oppure in forma di apparizioni
dell’angelo Gabriele in aspetto umano, cosi che egli potesse ascoltare la
rivelazione del Corano.
Quando cominciò a predicare, i
cittadini della Mecca non sapevano spiegarsi la trasformazione di Maometto.
Alcuni sostenevano che fosse un veggente o un poeta, o un mago, ma il nome più
usato dal Corano è “inviato” o “apostolo”. Al pari degli apostolo biblici e non
biblici della cultura greco-romana Maometto si riteneva incaricato di
trasmettere un messaggio, come Giovanni Battista o come l’apostolo Pietro. Maometto si sentiva
obbligato a ripetere alla lettera ciò che aveva udito senza poter interpretare
il messaggio. Il suo stile di predicazione era analogo a quello degli indovini
della sua cultura. Nei suoi sermoni presentava un Dio clemente e nel contempo
giudice severo ed esortava la sua gente a riconoscere il Dio misericordioso
della Kaba, parlava delle delizie del paradiso contrapponendole agli orrori
dell’inferno destinato agli idolatri e si rivolgeva agli abitanti della Mecca
in tono sprezzante. A quarantatré anni Maometto a forza di fustigare i
politeisti si inimicò i potenti della città e dovette sopportare molte
derisioni, ma lui si richiamava con determinazione alla volontà di Dio su di
lui e sul divino messaggio, a costo della vita.
Gli
elementi che depongono a favore della sua sincerità possono essere:
la sorpresa e la paura che
accompagnano la rivelazione, le manifestazioni fisiche di disagio (sudore e
tremiti); lo scoramento da lui provato quando, dopo le prime rivelazioni, vi fu
un lungo periodo di stasi (due o tre anni) che lo gettò nel più profondo
sconforto, alla ripresa delle quali il Corano stesso così commenta: “Il tuo
Signore non t’ha abbandonato né ti odia” (93,3); la volontà suicida di Maometto
(probabilmente un impostore che inventasse consapevolmente la rivelazione non
avrebbe provato alcuna angoscia); il fatto descritto che il profeta vedesse
sempre all’orizzonte l’immagine di Gabriele che incombeva su di lui e dalla
quale non riusciva a liberarsi, che viene considerato significativo dallo
studioso islamico A. Bausani:
“Specialmente questo tratto finale, riscontrato storicamente anche in estatici
moderni, e non facilmente inventabile da chi non l’abbia in qualche modo
provato, dà al brano un tale carattere di autenticità che sembra difficile
dubitare sia della sua genuinità nelle linee essenziali, sia della sincerità
della esperienza teopatica di Maometto”.
Anche per P. Branca “queste e altre manifestazioni confermano la sincerità
dell’esperienza di Maometto, tanto simile a quella di molti mistici di altre
tradizioni religiose in troppi dettagli per essere soltanto opera di
suggestione o addirittura d’impostura”.
Tuttavia
sono anche molti i limiti di accesso
alla verità dell’esperienza di Maometto.
Nonostante la vita di Maometto sia
chiaramente inserita nella storia, gli elementi su cui basarsi per una
ricostruzione storica dell’oscuro tema della rivelazione a Maometto scarseggiano.
(Si veda inoltre quanto già detto a proposito di rivelazioni ed esperienze
religiose nell’articolo sull’“ esperienza religiosa”). C’è anche chi pensa che
la rivelazione nella caverna come riportata dalla tradizione possa essere tutta
una costruzione posteriore intesa ad inquadrare in una “cornice” il versetto
che inizia con l’ordine dell’angelo: “Recita!”. Peraltro non vengono nominati
testimoni delle sue rivelazioni, ma solo Maometto che dice di aver avuto tali
visioni e audizioni. È stato anche detto che Maometto sarebbe stato epilettico
e quindi sintomi e manifestazioni particolari sarebbero da ricondurre al suo
stato patologico piuttosto che al divino; tuttavia tale patologia non può
bastare a spiegare compiutamente tali fenomeni.
È
stato anche affermato che Maometto fosse analfabeta, per rendere così
impossibile l’ipotesi della sua invenzione dei messaggi o l’imitazione di contenuti
della religione ebraica o cristiana (poiché il Corano contiene riferimenti a
personaggi biblici); in questo modo tali riferimenti con Antico e Nuovo
Testamento gli sarebbero stati ispirati da Dio. Così la versione che traduce
“leggi” al posto di “recita” e quindi la risposta di Maometto “Io non so
leggere” appare come una interpretazione apologetica degli eventi da imputare a
studiosi successivi. Oggi la teoria di Maometto analfabeta non è considerata un
argomento valido, afferma lo stesso studioso islamico M. Watt, “poiché anche se Maometto non sapeva leggere, le storie
della Bibbia potevano essergli state lette o raccontate, e presumibilmente vi
erano persone alla Mecca, come Waraqa, che avevano una conoscenza superficiale
della Bibbia.”.
2.
la composizione del Corano e alcuni
aspetti contenutistici
Per i musulmani il Corano è una
riproduzione parziale del Corano originario, custodito nei cieli, che è eterno
e increato e non può essere paragonato ad alcuna scrittura umana. Ogni parola
del Corano sarebbe parola di Dio, per cui nell’Islam si pone la massima cura
nella sua trasmissione.
La tradizione riferisce che Maometto
ricevette ripetutamente le rivelazioni nel tempo di 23 anni, in parte a la
Mecca e in parte a Medina. Ma sempre secondo la tradizione islamica il Corano
sarebbe “disceso” sul profeta per intero in una sola volta, la cosidetta “notte
del destino”, tra il 26 e il 27 del mese di ramadam del 610, come dichiara la
sura 97. Non si può lasciare inavvertita la contraddizione tra la rivelazione
del Corano intero in una sola notte e quella nell’arco di 23 anni. Ma questo
non turba i musulmani che hanno una concezione di Dio come di colui che tutto
può operare secondo la sua volontà, senza dover necessariamente sottostare alle
regole della limitata logica umana. Infatti i teologi musulmani hanno trovato
due spiegazioni per superare questa contraddizione: secondo la prima, il
Corano, copia terrestre del libro celeste, dopo essere stato rivelato tutto
intero la “Notte del destino”, fu riassunto in cielo presso Dio e poi di nuovo
rivelato a frammenti. La seconda spiegazione, invece, dice che il Corano fu
trasferito dal cielo superiore a quello inferiore per essere affidato
all’angelo Gabriele, con il compito di rivelarlo a Maometto a frammenti, in
tempi diversi. Realisticamente, la credenza che il Corano sia stato rivelato in
una sola volta quando le rivelazioni hanno accompagnato Maometto per oltre vent’anni,
risponde alla necessità di preservare la trascendenza della Parola divina,
evitando di farla dipendere dalle contingenze storiche. Infatti la graduale
progressione con cui la rivelazione fu ricevuta da Maometto non mancò di
suscitare le critiche dei suoi avversari, come ricorda lo stesso Corano: “E
dicono ancora quei che ripugnano alla fede: ‘Gli fosse stato almeno rivelato il
Corano in una sola volta!” (25,32).
In ogni caso, al di là di ogni
spiegazione che si può dare dell’evento nel suo complesso, è certo che nella
tradizione musulmana il Corano non è un libro pensato e scritto da Maometto e
neanche un libro semplicemente ispirato, ma un libro creduto rivelato, ossia
“mandato dall’alto” (sura 3, versetto 3) mediante un dettato dell’intermediario
di Dio. Il Corano tuttavia non fu messo per iscritto da Maometto (né in una
sola volta né man mano che riceveva le rivelazioni) ma solo da lui memorizzato
e trasmesso ai suoi discepoli, che a loro volta lo memorizzarono. Forse con
Maometto ancora in vita furono annotate delle parti delle rivelazioni ma è
certo che alla morte del profeta non era ancora disponibile una redazione
completa del Corano, la quale venne fissata soltanto successivamente. Ma
secondo il Corano stesso a garantire la fedeltà mnemonica al testo dettato
interveniva l’assicurazione espressamente divina, come si trova nella sura 87,6
che dice: “Ti faremo recitare, e tu non dimenticherai”, e quindi, essendo
parola di Dio, è ritenuto perfetto in ogni senso (come lingua, come contenuto e
come forma); e come esso è stato finora preservato da Dio da ogni alterazione o
manipolazione, cosi sarà anche in seguito. Dio così avrebbe inviato all’umanità
come strumento perfetto e quindi definitivo di salvezza non suo figlio, che non
ce l’ha, ma un libro, il libro della sua parola, la guida per eccellenza,
perché tutti gli uomini potessero essere istruiti senza errore e potessero
essere guidati senza inganno sulla via della salvezza. A causa del carattere
“inimitabile” del Corano, per lunghissimo tempo i musulmani non ne permisero la
traduzione in altre lingue al fine di evitare qualsiasi modificazione del
contenuto conseguente a una traduzione
(in seguito fu poi accordata ma accompagnata dal testo normativo arabo)
e non è consentita l’analisi storico-critica a fini esegetici.
In
realtà le vicende della raccolta dei discorsi del profeta, vicende che
portarono alla stesura e alla redazione finale del testo scritto, sono poco
chiare. La tradizione dice che, dopo la battaglia di Aqraba, nella quale
morirono molti credenti che conoscevano a memoria il Corano, Omar, nel timore
che gran parte della rivelazione andasse perduta, pensò di proporre al califfo
Abu Bakr (632-634) di far mettere per iscritto la rivelazione del Profeta.
L’incarico fu dato al segretario del profeta, Zayd ben Thabit, che pensò a
raccogliere tutto il materiale, sia quello scritto (su pietre, scapole di
animali, foglie di palma, pelle conciata, etc.) che quello tramandato
oralmente; lo fece quindi trascrivere su fogli di carta e poi lo consegnò al
califfo. Alla morte del califfo Abu Bakr, il manoscritto passò ad Omar, il
secondo califfo (634-644) e da lui pervenne a sua figlia Hafsa. Ma
contemporaneamente a questa redazione c’erano altre quattro versioni che
circolavano che contenevano delle varianti tra loro. L’adozione “definitiva” e
ufficiale del testo di Abu Bakr si deve a Utnam, il terzo califfo (644-655)
che, a causa delle divergenze politico-religiose, manifestatesi soprattutto
nell’esercito, e dietro il parere di un’apposita commissione da lui istituita,
decise (intorno al 650) di scegliere appunto la versione di Abu Bakr e di far
distruggere tutte le altre.
È
chiaro che queste vicende comportano problemi relativi a possibili alterazioni
o smarrimenti di parti della rivelazione. Se poi si deve intendere che il
Corano sia alla lettera la parola di Dio, allora che dire degli errori evidenti
che si incontrano a volte in esso? Ad es. ci sono discrepanze interne come nel
caso delle parole riguardo a Mosè attribuite ora ai consiglieri del Faraone,
ora al faraone stesso: “E disse il Consiglio della gente di Faraone: ‘certo,
costui è un saggio incantatore…”(7,109) ; “Allora disse Faraone alla corte che
l’attorniava: ‘Costui certo è un abile mago…”(26,34); o nell’episodio
dell’annuncio della nascita di un figlio rivolto ora ad Abramo (“Non aver
paura, chè noi ti diamo la buona novella di un giovane saggio” 15,53) ora a sua
moglie (“E sua moglie, ritta lì presso, rise: ma le demmo la buona novella di
Isacco e dopo di lui di Giacobbe”11,71).
Oltre ad errori interni si trovano
anche dipendenze del testo da fatti e situazioni contingenti a cui è spesso e
palesemente collegato, nonché cambiamenti nelle comunicazioni divine nel corso
degli anni. Il Corano stesso dice che Dio si definisce arbitro assoluto del
proprio verbo che può liberamente alterare o perfino in parte abolire in base
alla sua misteriosa volontà: “Non abrogheremo, né ti faremo dimenticare, alcun
versetto senza dartene uno migliore o uguale: non sai dunque che Iddio è
onnipotente?” (2,106) ma si può anche pensare che queste modifiche avessero lo
scopo di adattare le rivelazioni a fenomeni contingenti per ricavarne vantaggi
personali. Si pensi a come cambiò il ruolo di Maometto da quando passò dalla
Mecca a Medina: la rivelazione consegnata al profeta nel periodo meccano
diceva: “Tu sei colui che ammonisce, non ti compete il dovere di annotare le
loro azioni” (C 88,21; 42,48), ossia non hai alcuna autorità su di loro; ma
all’arrivo a Medina in poi Maometto dichiara: “Temete il Dio, obbedite a me” (C
26,108). Seguirono anche “rivelazioni chiarificatrici” per giustificare
saccheggi alle carovane e divisioni del bottino (quattro quinti andavano ai
rapinatori e un quinto a Maometto, C8,1.41). Anche il rifiuto della
crocifissione di Gesù da parte del Corano, secondo il quale invece è stato
assunto direttamente in cielo (4,157-58), derivante da principi morali e
teologici (soprattutto perché un profeta di Dio non potrebbe essere ucciso dai
nemici), contrasta con quello che è uno dei dati più storicamente verosimili
della vita di Gesù (anche se negli ultimi tempi alcuni teologi musulmani, per
il bene delle future relazioni tra Islam e cristianesimo, hanno tentato diverse
e dubbie interpretazioni che non neghino uno dei punti essenziali della fede
cristiana). Ci sono stati e ci sono interventi di studiosi islamici che
promuovono una considerazione della rivelazione divina non letterale, ma solo
di una ispirazione tradotta in linguaggio umano soggetto alle influenze delle
relazioni che sussistevano tra il profeta e i suoi contemporanei, ma a molti
queste sono sembrate un’inaccettabile relativizzazione del testo e un attentato
alla trascendenza e alla libertà di Dio.
Infine l’invito alla violenza e alla
guerra presente nel Corano può inficiare la sua credibilità teologica, poiché a
molti il ricorso alle armi per motivazioni religiose o politiche non può non
apparire immorale. Non manca nel Corano il concetto di pace riferito anche ai
rapporti tra il profeta e i suoi contemporanei, ma è innegabile uno spiccato
legame – anche nelle fonti – tra religione e guerra. La stessa vita di Maometto
è una serie impressionante di campagne militari, di stragi, di eliminazioni per
conquistare nuovi territori e diffondere l’Islam. Soprattutto dopo l’egira si
verificarono omicidi e guerre contro ebrei (uccisioni gratuite di prigionieri
perché lo avevano canzonato, donne rese schiave) e quelli che erano emigrati e
che combatterono per riconquistare la Mecca sono particolarmente lodati e
proposti a esempio. La partecipazione al combattimento viene indicata nel
Corano come suprema espressione di fedeltà (inizio sura 9), mentre altre
esortazioni appaiono emblematiche: “immaginate forse di
potere entrare in paradiso senza che Dio abbia prima riconosciuto quali fra voi
abbiano lottato per lui e quali siano stati pazienti nelle afflizioni?” e
similmente 61,11; 4,95; 49,15. In meno di dieci anni Maometto era passato
dalla condizione di fuggiasco a quella di potente capo arabo, e cominciò a
inviare messaggi a governanti stranieri dichiarandosi messaggero di Dio e
assicurando la salvezza a chi avesse abbracciato l’Islam. Gli apologeti
musulmani giustificano la cattiveria di Maometto contro gli ebrei rifacendosi
anche alla legge ebraica sul trattamento della città assediata, conforme al
Deuteronomio (“uccidi tutti i maschi, donne, bambini e bestiame e bottino come
preda”); ma questa in realtà è una critica ad entrambi (musulmani ed ebrei)
piuttosto che una giustificazione dei primi.
3.
altri elementi dell’apologetica
musulmana.
Si raccontano miracoli di Maometto: nonostante egli dichiarò di non essere un
mago, la comunità musulmana non tardò ad attribuirgli imprese soprannaturali.
Dopo 100 anni venivano accettati come ortodossi dai fedeli alcuni racconti
fantastici sul suo conto. Ad esempio in una esperienza extracorporea il suo
spirito dalla Mecca sarebbe andato a Gerusalemme accompagnato da Gabriele dove
erano presenti Abramo Mosè, Gesù e altri profeti; da qui avrebbe potuto vedere
l’inferno coi suoi tormenti e il paradiso. Questa esperienza extracorporea è
stata collegata con le rivelazioni coraniche su Dio “che una notte lanciò in
viaggio il suo servo dalla santa moschea alla lontana moschea” e sulle sette
sfere celesti dominate dal grande trono celeste. In genere l’ortodossia
musulmana ha trasformato il volo immaginario in un viaggio materiale, con
l’aggiunta di particolari sulle sue presunte esperienze.
Probabilmente alcuni presunti
miracoli nacquero dal desiderio di controbattere le obiezioni dei cristiani che
screditavamo Maometto citando la sua incapacità di fare miracoli, attestata dal
Corano. La storia del concepimento di Maometto tra l’altro è analoga a quella
di Gesù. Chiaramente nessun racconto di miracoli può essere ragionevolmente confermato.
Anche
l’espansione dell’Islam è un altro
classico argomento dell’apologetica musulmana: secondo questa, Dio starebbe
dietro la sorprendente espansione dell’Islam in tutto il mondo. Si può considerare che mentre alla morte del profeta l’Islam risiedeva nella sola Arabia, cento anni dopo si estendeva dall’Andalusia all’Asia centrale. Ma questo fatto
si può spiegare altrettanto bene come esito di strategie e campagne militari promosse
da Maometto stesso e dai suoi successori. Inoltre anche altre religioni si sono
diffuse in modo sorprendente e rapido (per esempio il cristianesimo).
Anche il contenuto e la forma linguistica del Corano sono ritenuti eccelsi e
pertanto soprannaturali: ma presunte verità su Dio e i suoi rapporti col genere
umano si possono spiegare anche come risultato di una composizione umana
debitrice tra l’altro di altre fonti religiose come ebraismo, cristianesimo (e
manicheismo).
In conclusione, tenendo presenti i problemi
esistenti nel decifrare la presunta esperienza di rivelazione di Maometto e
quelli che riguardano la stesura del libro che riporterebbe tali rivelazioni (il
Corano), l’accettazione della natura soprannaturale della religione islamica è
solo questione di fede.
BIBLIOGRAFIA
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