Il buddhismo ha origine in India nel VI sec. a.C. Tuttavia è maggiormente
concentrato in Sri Lanka e nell’Asia sudorientale, e fin dai tempi antichi si
era diffuso anche in Cina, in Corea e in Giappone.
Il fondatore del buddhismo fu Siddhartha Gautama di cui esiste una
biografia in parte leggendaria, in cui è quasi impossibile poter distinguere
verità storica da racconto immaginario.
Il principe Siddhartha (563-483 a.C.
circa) crebbe nel lusso, finchè a 29 anni uscì di palazzo e si imbattè in un
vecchio, in un ammalato e in un cadavere. Da qui provò pietà e compassione per
gli uomini e si sentì chiamato a liberarli dalla sofferenza. Dopo sei anni di
meditazione e digiuni sperimentò il “risveglio”, era stato “illuminato”. Il
principio di cui aveva preso coscienza era che tutta la sofferenza del mondo
aveva origine dal desiderio. Soltanto sopprimendo il desiderio è possibile
sottrarsi al ciclo delle rinascite.
Il buddhismo si è sviluppato come
una distinta via per la salvezza all’interno dell’Induismo, e il fatto che
l’uomo sia legato al ciclo delle rinascite era per il Buddha un punto di
partenza naturale. Però se per l’induismo l’anima dell’uomo è individuale e
eterna (atman), è legata alla
reincarnazione ed è ritenuta in tutto o in parte identica all’anima del mondo (brahman), il buddhismo nega che l’uomo
abbia un’‘anima’ e rifiuta la concezione dell’anima del mondo. La vita umana
sarebbe una sequenza ininterrotta di processi fisico-mentali che modificano
costantemente l’uomo: non esiste un nucleo immutabile della personalità, un
“io”.
Dopo la sua illuminazione il Buddha
tenne a Benares il discorso in cui delineava le quatrro nobili verità: nel mondo c’è la sofferenza; l’origine del
dolore è nella sete del piacere e di esistenza; si può sopprimere il dolore
sopprimendo il desiderio; l’uomo sarà liberato dal dolore e dal ciclo della
reincarnazione se sceglie di seguire il nobile ottuplice sentiero (retta
visione, retto volere, rette parole, rette azioni, retti mezzi di esistenza,
retto sforzo, retta attenzione, retta concentrazione).
Al nirvana (“spegnimento”) si arriva
quando l’uomo ha spento in lui ogni desiderio, quando l’intero karma si è
esaurito e la legge della reincarnazione si è infranta: nei testi buddhisti è
più spesso presentato come negazione, come un nulla, nel senso che rappresenta
la liberazione della sofferenza, un vuoto spoglio di desideri, ma alcuni testi
lo definiscono anche in modo positivo, come condizione di conoscenza, felicità
e pace che si raggiunge dopo aver annullato odio, cupidigia e ignoranza.
Condizione necessaria per raggiungere il nirvana è che il buddhista abbia
sperimentato il risveglio (bodhi), come il Buddha. Le buone azioni da sole non
bastano a condurre al nirvana; ma una giusta condotta di vita può riflettersi
in rinascite favorevoli, che a loro volta possono creare la condizione perché
abbia luogo il risveglio. Il nirvana è quindi una condizione in cui ci si può
trovare all’improvviso, senza preavviso. Tale esperienza può essere così
intensa che il mondo sembra andare a fuoco; e quando il buddhista fa ritorno
alla realtà, gli sembra di essere circondato
da fredde ceneri. Il nirvana definitivo, che ha inizio con la morte, e
da cui non è possibile far ritorno, nel buddhismo si chiama parinirvana, “lo
spegnimento assoluto e completo”.
Nell’etica buddhista la compassione,
o condivisione del dolore, e l’amore hanno un posto centrale. Non solo le
azioni, ma anche i sentimenti e la disposizione d’animo sono importanti. Nella
vita concreta il buddhismo impone cinque regole di condotta: non danneggiare
alcuna creatura vivente, non rubare, non danneggiare gli altri in rapporto ai
piaceri sensuali, non dire il falso e non fare uso di alcool o droghe (per
essere concentrati sulle regole da seguire).
Il buddhismo non negava l’esistenza
degli dèi ma sosteneva che gli dèi sono soggetti alla transitorietà,
esattamente come gli uomini, e anch’essi sono legati alla ruota continua della
rinascita. Tra i buddisti laici troviamo molto diffuso il culto di demoni,
spiriti e altre divinità che, se adorate nel modo giusto, possono intervenire
positivamente sulla vita degli uomini. Anche all’interno dello stesso buddhismo
ci sono varie concezioni e diverse correnti.
Considerazione
sulla credibilità teologica/filosofica del buddhismo
Il buddhismo è una forma di
religiosità o una religione atipica, in cui Dio non è riconosciuto, come essere
assoluto, né trascendente né salvifico né personale. D’altra parte esso
riconosce l’esistenza di potenze divine superiori agli uomini e alle realtà
naturali. Si potrebbe dire che il buddhismo è apofatico, in quanto preclude la possibilità di parlare della
realtà assoluta. È una religione del silenzio
di Dio, nel triplice senso di silenzio da parte di Dio (assenza di
rivelazione), silenzio su Dio (assenza di discorso teologico) e silenzio con
Dio (assenza di culto). Esso è una dottrina ed una prassi di salvezza
finalizzata alla liberazione dalla contingenza e dal dolore. Può essere
concepito come una “terapia del dolore”. D’altra parte questo stesso ateismo, o
agnosticismo, o forse meglio, apofatismo religioso, che sono le premesse del
buddhismo, non sono premesse dimostrabili, incontrovertibili: non è
dimostrabile che non esista alcun Dio significativo per l’uomo, come non lo è
che l’uomo non abbia un’ anima o che non esista un’anima del mondo. Il
buddhismo in realtà potrebbe precludersi delle opportunità di percorsi e di
salvezza che invece quasi tutte le altre religioni teistiche propongono.
Sulla problematicità della dottrina
della reincarnazione vale quanto
detto per l’induismo (da segnalare la differenza che nell’induismo è l’anima
dell’uomo a trasmigrare mentre nel buddhismo è solo una serie di aggregati, in
continua trasformazione, e non un “io” stabile).
Ci si può anche chiedere se il
“nirvana” possa apparire a tutti come una condizione assolutamente
desiderabile. Si è detto infatti che la sua natura non è definibile, viene
talora considerato come pura negatività (assenza di desiderio e quindi di
dolore) oppure come positività (presenza di gioia e pace). Questa ambiguità e
incertezza della meta da raggiungere tramite una vita di radicale rinuncia di
sè, spezzando i legami esistenti nella nostra condizione umana, nella nostra
psiche e nel nostro corpo, con una costante meditazione, pratica della compassione, ed estremi sforzi
di nobilitazione personale, potrebbe essere demotivante per molti. D’altra
parte, molto dipende dalla convinzione che ognuno può nutrire riguardo la
verità o meno della credenza nella reincarnazione.


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