domenica 5 aprile 2015

5. ARGOMENTI COSMOLOGICI (per l'esistenza di Dio)


Esistono varie forme di questo argomento, riporto due delle principali argomentazioni.
La prima, partendo dalla nostra conoscenza del regresso temporale e causale, giunge alla conclusione che Dio è la causa efficiente dell’universo. Partendo dal presupposto che ogni evento deve essere preceduto da una causa, si sostiene che anche il mondo stesso deve averne una, cioè Dio. Visto inoltre che per la scienza attuale l’universo sembra aver avuto inizio circa 13,82 miliardi di anni fa con il big bang, e non sembra quindi essere eterno, a maggior ragione deve esserci una causa  che trascende l’universo stesso che giustifichi la sua comparsa.
L’altra versione si basa sul più esteso concetto di spiegazione razionale. Essa sostiene che solo un Dio necessario può render conto di un universo contingente, sia che esso abbia o meno avuto un principio nel tempo. Nulla esiste o avviene senza una causa o una ragione. Il mondo intero richiede una spiegazione perché avrebbe potuto essere molto diverso da come è o anche non esserci affatto. L’unica spiegazione completa e disponibile è Dio, il cui essere è eterno e sufficiente, altrimenti Dio stesso richiederebbe una spiegazione. Alla fondamentale domanda del “perché ci sia qualcosa piuttosto che il nulla” si risponde che è il “qualcosa” che richiede una spiegazione essendo il nulla più semplice ed essendo del tutto razionale l’antico principio che “dal nulla non viene nulla”: tale spiegazione può essere solo un essere eterno e necessario, Dio.  

Svilupperò questo argomento, affrontando e valutando le più importanti critiche mosse ad esso.

Sono validi il “principio di causalità” e quello di “ragione sufficiente”?
Nelle due argomentazioni sono fondamentali il “principio di causalità” (nella prima) secondo cui ogni evento ha una causa, e quello di “ragion sufficiente” (nella seconda), secondo cui per ogni fatto vi è una spiegazione del verificarsi di quel fatto. Ma la validità di questi principi è contestata, sia nel senso che sarebbero infondati o non evidenti già nell’ambito empirico, sia soprattutto nella loro estensione dall’ambito empirico all’ambito trascendente.
I difensori di tali principi dicono sostanzialmente che questi sono necessari per rendere l’universo intelligibile, che senza tali presupposti la scienza non avrebbe successo, e che noi li presupponiamo in ogni nostra indagine o esperienza ordinaria. Ma i critici chiedono come sappiamo noi che tutto deve avere una ragione sufficiente, e osservano che non pare accettabile la richiesta che tale principio sia vero a priori, e semmai che questo comporterebbe eventualmente la sola sua giustificazione metodologica, non già ontologica. In più aggiungono che, anche se all’interno del mondo tutto sembrasse avere una ragione sufficiente, anche se il principio di causalità si applicasse bene agli eventi del mondo, non potremmo a partire da ciò estrapolarlo ed applicarlo al mondo nel suo complesso. Non si potrebbe applicare una deduzione ricavata dall’esperienza, all’universo intero di cui non abbiamo esperienza. Questa estensione sembrerebbe ingiustificata. Insomma, si può quantomeno definire “dubbia la legittimità di un processo che deduce da relazioni e connessioni interne al cosmo, relazioni e connessioni tra il cosmo e qualche essere trascendente” (J. Laird).
            Chiaramente la solidità della versione deduttiva dell’argomento cosmologico dipende dal fatto se i principi di causa e ragion sufficiente sono più che metodologicamente veri e nella estensione in cui tali principi possono essere applicati. Tuttavia direi che almeno “intuitivamente” sembra strano che l’universo nel complesso possa esistere senza una causa laddove nell’universo tutto sembra avere una causa. 

È impossibile un “regresso all’infinito” delle cause?
La prima versione dell’argomento cosmologico presuppone poi l’impossibilità del regresso all’infinito temporale o causale per la spiegazione degli eventi. Sostanzialmente dice che una serie di “cause-effetto” può anche risultare senza fine, ma mai senza principio, altrimenti si tratterebbe di un’assurdità, poiché non esiste sequenza causale priva di un punto di partenza. In assenza di un inizio assoluto, di una “prima causa non causata” dalla quale far cominciare la catena delle cause nemmeno la catena stessa (il mondo) avrebbe la possibilità di esistere.
Questo ragionamento sembra plausibile, e tuttavia ha avuto delle critiche, si sono diversificati diversi tipi di regresso all’infinito, e la questione si è fatta molto complessa e controversa.
Per esempio, a chi dice che l’idea di un passato infinito sarebbe paradossale - perché non  sarebbe possibile che il presente sia arrivato se prima di esso è dovuto trascorrere un numero infinito di giorni - altri replicano che questo è del tutto concepibile, basta che si abbia una quantità di tempo infinito nel passato.
Oppure, una delle obiezioni è che sarebbe sufficiente spiegare i singoli elementi di una totalità per spiegare la totalità stessa. Se noi potessimo spiegare le singole parti che compongono il tutto, ovvero ogni singolo anello di una catena seppur infinita, non sarebbe allora spiegata anche il tutto, ovvero la causa dell’intera catena? Come disse B. Russel “il fatto che ogni essere umano abbia una madre, non dimostra che il genere umano, nel suo insieme, abbia una madre”. Ma anche qui la plausibilità o meno di questa obiezione sembra dipendere dal tipo di “insiemi” implicati. Se abbiamo spiegato perché ciascuna persona di un gruppo di cinque si trova in un dato luogo in un dato momento, abbiamo con ciò esaurito tutto quello che era necessario spiegare sul perché quel gruppo si trovasse lì in quel momento. Oltre ai cinque membri non c’è nessun “gruppo”, e se abbiamo spiegato ognuno di loro perché si trova lì abbiamo spiegato anche perché il gruppo si trova li. Ma supponiamo ora di dover scoprire perché l’arbusto del nostro giardino è morto. La domanda in questo caso attiene un organismo le cui parti non sono tra loro indipendenti e la cui morte non è riconducibile a una serie di eventi distinti accaduti in singole parti. E l’universo è più simile ad un organismo o ad un gruppo di persone? Oppure è un terzo genere di insieme?
Comunque, alcuni filosofi e anche teologi dicono che sia arduo escludere, da un punto di vista logico, una serie temporalmente infinita di cause che si distendono senza fine all’indietro nel tempo. Esistono anche proposte scientifiche che rispecchiano questa idea di un regresso all’infinito senza inizio, che hanno cioè a che fare con l’idea di una catena infinita di universi, senza inizio né fine, come quelli dell’universo ciclico oscillante o dell’inflazione caotica perpetua, teorie che rimangono ancora però ad un alto livello speculativo.  

L’universo potrebbe essere “necessario” e  autonomo?
Con questa domanda viene ampliata la questione precedente. La principale obiezione che si può fare all’argomento cosmologico è quella di dire che l’universo stesso come un tutto (non nelle sue “forme” contingenti, ma nella sua “sostanza”) potrebbe essere necessario e non contingente come prevede l’argomento cosmologico: potrebbe cioè essere autonomo, autosussistente, eterno, bastare a se stesso per esistere e per essere quello che è. A questo si può replicare che la cosmologia contemporanea, avvallando la teoria del big bang, conferma ragionevolmente che l’universo sia finito nel tempo, sia sorto circa 14 miliardi di anni fa, e quindi che non sia affatto eterno, e quindi neanche necessario. Ma il problema è che questo sarebbe vero solo se il suddetto big bang fosse l’origine unica e assoluta del tutto, di tutta la realtà esistente, cioè che “dietro” a tale big bang non ci fosse nulla di fisico (o naturale) che potrebbe averlo determinato: se invece ci fosse un eterno processo di energia in continuo divenire? In altre parole, bisognerebbe poter escludere qualunque causa naturale del big bang, escludere che esso non sia stato determinato da un precedente stato fisico, che non faccia parte di un processo fisico infinito, che non sia solo uno degli infiniti big bang di una catena infinita senza inizio (e senza fine).
Lo stato originario fondamentale della realtà potrebbe quindi essere non il nulla o il non essere, bensì “il qualcosa” – l’energia, un principio, una forza, una legge, il “vuoto quantistico” o qualunque altra “cosa” o processo – che avrebbe potuto generare tutto quello che c’è nell’universo. In ogni caso, noi cosa sappiamo (della natura) del fondamento della realtà? Noi vediamo le cose, il mondo, noi stessi già esistenti, ma nessuno ha mai visto da dove deriva tutto ciò che vediamo. Tra l’altro la fisica contemporanea ci offre un’immagine molto più complessa e misteriosa della realtà (e del suo fondamento).  Lo stato originario della realtà è dunque l’”essere” (qualunque “cosa “sia) o è il nulla, e in quest’ultimo caso il fatto che qualcosa esiste andrebbe spiegato postulando un Dio? Non si sa. La scienza per ora non sa dire nulla di plausibile e di completo circa lo stato di questo eventuale “qualcosa” di naturale e “necessario” che starebbe alla base dell’intera realtà: nessuna teoria del tutto è stata scoperta che possa rendere superflua una spiegazione metafisica. Il teista aggiungerebbe anche che ci sarebbe  comunque poi da spiegare perché una teoria e perché quella teoria (o energia, o processo), ma si potrebbe replicare che, se per definizione la consideriamo lo stato originario della realtà, non avrebbe senso porre tali domande (o la risposta sarebbe che “non si sa”, è un “fatto bruto”, per caso o per necessità la realtà è questa). Ma al di là di questo, come sapere se un certo “stato della natura” è davvero  “fondamentale”, cioè del tutto immanente e non invece posto in essere da un Dio, esistente al di “fuori” di quello stato naturale?  

Se tutto ha una causa, anche Dio deve averne una?
L’argomento cosmologico parte dall’assunzione che ogni singola cosa è stata causata da qualcos’altro, ma poi dice che Dio è la causa prima, incausata. Non è forse una contraddizione? Se tutto ha una causa, anche Dio deve averne una. Perché non si potrebbe chiedere: “e qual è la causa di Dio? Perché Dio esiste? Perché Dio piuttosto che niente? Chi ha creato Dio?”?
I teisti negano che sia adeguato porre tali domande, poiché per definizione Dio è un concetto-limite e l’“oggetto” così designato deve essere tale che ulteriori richieste esplicative al di là di lui non siano più sensate. I critici dell’argomento però non sono soddisfatti da una simile replica. Qualcuno ritiene addirittura che il concetto di un essere logicamente necessario sia contradditorio in se stesso, perché l’attributo “necessario” si riferirebbe solo a “proposizioni” e non a cose. Altri però sostengono che se esistono proposizioni necessarie la nozione di essere necessario non può dirsi logicamente assurda (e questa sembra attualmente la tesi prevalente). Ma se il concetto di essere necessario è possibile - reclamano i critici - perché allora non potrebbe essere l’universo piuttosto che Dio? I teisti potrebbero rispondere che non abbiamo elementi plausibili per affermarlo, e i critici potrebbero replicare che comunque questo rimane possibile e forse in futuro diventerà anche probabile. Questo si collega alla prossima domanda. 

 “Dio” è una spiegazione più semplice di un “universo autosussistente”?
Il filosofo teista R. Swinburne sostiene che sia più ragionevole presupporre che “Dio” sia l’essere eterno o incausato piuttosto che lo sia l’universo, perché l’universo è complesso mentre Dio sarebbe semplice. Di conseguenza sarebbe più probabile che rimanesse “Dio” come “fatto bruto” senza spiegazione piuttosto che l’universo. Insomma, l’esistenza dell’universo è strana e sconcertante e può diventare un fatto comprensibile solo se noi supponiamo che sia fatto da un Dio.
Altri però sostengono il contrario. Innanzitutto domandano: “Sappiamo di cosa stiamo parlando quando parliamo dell’”essere” di Dio? Come sarebbe immaginato questo “Dio” che avrebbe creato l’universo? Concettualmente l’idea di Dio potrebbe essere anche semplice, ma questo non ci dice nulla su quello che è ontologicamente. Sappiamo che per spiegare l’universo fisico stiamo postulando una entità qualitativamente del tutto sconosciuta, completamente diversa da quello che è la nostra esperienza ordinaria? ”.
Il filosofo ateo J. Mackie per esempio sostiene che non può essere vero che un Dio che ha creato il mondo sia più semplice del mondo. Swinburne suppone che Dio sia un concetto semplice: postula che un Dio di potere infinito, onnisciente e libero sia più semplice di un universo complesso che invece invoca una spiegazione. Ma per Anselmo di Canterbury, nella sua prova ontologica, Dio non era quello “di cui non si poteva pensare nulla di più grande”? Come dice anche R. Dawkins “un Dio capace di monitorare continuamente e controllare lo stato individuale di ciascuna particella dell’universo non lo si può certo considerare semplice. La sua esistenza dunque a buon diritto necessiterà di un minimo di spiegazione”. Quindi non avrebbe senso spiegare la complessità dell’universo postulando l’esistenza di un Ente ancora più complesso. Per non parlare dei problemi inerenti alla nostra rappresentazione dell’essere di Dio: come ci possiamo rappresentare e giustificare una mente divina come pura coscienza immateriale, senza alcun contesto o fondamento materiale? E se anche questa mente immateriale fosse possibile, come potrebbe far esistere la materia?
In definitiva, l’ateo dice che il teista postula un essere già esistente di infinita intelligenza e complessità, una entità cosi diversa da tutte le altre conosciute, dicendo che è la spiegazione più semplice, ma senza offrire al riguardo alcuna spiegazione; ma allora si potrà altrettanto bene postulare, conclude l’ateo, l’eternità della materia-energia senza offrire alcuna spiegazione.
Per il teista però questi problemi sarebbero superabili. Se Dio per definizione è onnisciente ed onnipotente è irrilevante che non abbia un corpo. Noi non possiamo comprenderlo, tuttavia non possiamo neppure porre dei limiti a Dio. Sarebbe considerarlo una sorta dei nostri schemi umani. Se tutto ciò che è fisico è contingente, occorre postulare qualcosa di metafisico, di trascendente per giustificarlo. Poi come e perché un Essere spirituale abbia creato un universo fisico, non si può certo pensare di capirlo. Ma non per questo sarebbe assurdo, semmai è un mistero.
Dunque, “Dio” è una spiegazione più semplice di un “universo autosussistente”? Io credo che, come dicono altri filosofi e teologi, la probabilità iniziale dell’esistenza di Dio sia altrettanto difficile da stimare quanto quella di un universo senza Dio.  

 Il concetto filosofico di Dio è comprensibile e coerente?
Siamo sicuri che il concetto di Dio che postuliamo per spiegare l’altrimenti inspiegabile universo non sia problematico in sé?
Innanzitutto è chiaro che “il Dio dei filosofi e degli scienziati” non è immediatamente il “Dio della religione”. Per la maggioranza degli studiosi anche se l’argomento cosmologico fosse valido, di per sé potrebbe concludere solo all’esistenza di una Causa prima extramondana, o di un Essere necessario, ma non conclude ad un Essere infinitamente buono e giusto, personale e provvidente, che si è rivelato a qualche profeta o mediatore o addirittura incarnato (per esempio, secondo il cristianesimo tradizionale). Non si tratta insomma del Dio della religione - e poi di quale tra le diverse religioni? È dibattuto quanta “distanza” ci sia tra l’Essere speciale eventualmente guadagnato dall’argomento cosmologico e il Dio del teismo o della religione monoteista (se un piccolo salto o un baratro).
Ma anche lo stesso “Dio dei filosofi”, è comprensibile e coerente in sè?
Il “Dio dei filosofi” viene concepito senza tempo, immutabile, onnisciente, onnipotente e supremamente buono. Ma cosa significano queste astrazioni? Siamo davvero in grado di comprenderle? E se lo siamo, siamo sicuri che siano compatibili l’una con l’altra?
Per esempio, ci sono problemi quando pensiamo alla sua onniscienza. Come conciliare l’onniscienza di Dio, per es. su quello che farà l’uomo in futuro, con la libertà dell’uomo?
            Problemi circa l’eternità di Dio: può esistere un essere fuori dal tempo? Se Dio è senza tempo, può allora conoscere veramente quelle verità sul mondo che dipendono dalla sua temporalità? Insomma più si dice che Dio è indipendente dal tempo più è difficile capire come possa interagire col mondo e con l’uomo.      
            Il teista può innanzitutto spiegare che l’impossibilità di rappresentarci Dio e di farci un concetto su di lui fa parte del discorso su Dio, che per definizione è Mistero. Rimandare al mistero impenetrabile di Dio quando non si riesce a concepire coerentemente la sua essenza, non è allora un divieto arbitrario di sollevare dei problemi e non si tratta di un pretesto o di una scappatoia, ma piuttosto di una necessaria peculiarità del discorso sull’Assoluto. Quindi questi aspetti problematici nel concepire il Dio dei filosofi non possono e non devono invalidare il discorso su Dio, semmai ci possono rendere più consapevoli dei nostri limiti razionali e ci invitano ad aprirci a Dio nella fede senza pretendere di poter capire il suo Mistero. E poi ci sono tentativi filosofici per superare tali “conflitti” interni all’elaborazione del concetto di Dio che a tanti sembrano persuasivi.
In definitiva, si può dire che mentre per alcuni il concetto di Dio è intrinsecamente problematico e tale da invalidare il concetto su Dio, per altri questa problematicità è superabile, quantomeno nella prospettiva del “mistero”.  Io non credo che questa critica invalidi il concetto di Dio del teismo, che quindi rimane per me possibile, ma ci dice certamente quanto sia difficile concettualizzare in modo comprensibile e coerente quello che noi chiamiamo “Dio”.
 
Secondo me la validità dell’argomento cosmologico rimane quantomeno possibile, forse anche relativamente plausibile, almeno finchè non saranno  maggiormente confermate le alternative proposte naturalistiche.

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