sabato 4 aprile 2015

4. ARGOMENTI ONTOLOGICI (per l'esistenza di Dio)


Gli argomenti ontologici cercano di dimostrare l’esistenza di Dio indipendentemente dall’esperienza, sono detti a priori, e partono dal solo concetto di Dio che l’uomo può immaginare.
Anselmo d’Aosta (1033-1109) formula cosi nel “Proslogion” il suo argomento per l’esistenza di Dio: noi crediamo che Dio sia l’ente di cui non si può pensare il maggiore. Anche chi nega l’esistenza di Dio, per dire “Dio non esiste” deve avere l’idea di ciò che nega; può dunque avere l’idea di ciò di cui non si può pensare il maggiore. Ma l’ente di cui non si può pensare il maggiore non può essere soltanto pensato, perché se fosse soltanto pensato non sarebbe più l’ente di cui non si può pensare il maggiore; infatti un ente di cui non si può pensare il maggiore esistente, sarebbe maggiore (ossia più perfetto) di un ente di cui non si può pensare il maggiore soltanto pensato. Dunque l’ente di cui non si può non pensare il maggiore esiste necessariamente.
Le principali contestazioni razionali mosse alla prova ontologica dal suo tempo ad oggi possono essere ricondotte a tre fondamentali obiezioni (R. Timossi):
- l’idea di Dio come “qualcosa di cui nulla di maggiore si può pensare” non ha carattere universale, non è cioè presente nella mente di tutti gli uomini. Infatti nell’antichità molti pensavano che Dio fosse solo il mondo visibile attuale (come replicò già Tommaso); oppure, se pensiamo al concetto del divino delle dottrine filosofico-religiose dell’Oriente, per queste la “perfezione” non appartiene ad un solo Ente supremo ma va cercata nell’armonia del “Tutto” (il Tao, o il Brahaman, o il Dharma) e quindi anche gli uomini, se sono “illuminati” ne sono partecipi. Qui i rapporti gerarchici tra i diversi gradi di perfezione non sembrano avere alcun senso, il dualismo tra un mondo “imperfetto” e un Ente trascendente perfettissimo è respinto in favore di una concezione monistica della realtà per cui “ ciò di cui non si può pensare il maggiore” non è nient’altro che l’unità di tutto quanto esiste.  
- il solo pensiero di un “Essere della massima perfezione concepibile” non è condizione sufficiente a dimostrarne la reale esistenza, poiché non sussiste nessuna relazione necessaria tra il pensare il concetto di un determinato ente – sia esso anche il più grande concepibile – e la sua effettiva esistenza fuori dall’intelletto. Un conto, in altre parole, è l’ordine delle idee e un altro conto è l’ordine della realtà delle cose; un conto sono le condizioni soggettive del pensare a qualcosa e un altro conto sono le condizioni oggettive che fanno sì che questo qualcosa esista realmente. Già Tommaso aveva chiarito: “La realtà che deriva come logica conseguenza non può essere superiore al valore del termine [cioè “Dio”]. Ora per il fatto che una cosa del genere [ovvero l’essere perfettissimo] si concepisce mentalmente nel proferire il termine Dio, non ne segue che Dio esista, se non come dato intellettivo. Perciò l’essere di cui non se ne può pensare uno maggiore non può non avere esistenza: però nell’intelletto. Ma da ciò non ne segue che codesto essere esista anche nella realtà”.
- è tutta da dimostrare la tesi secondo cui l’esistenza reale è una perfezione. In particolare poi l’esistenza non va considerata un semplice predicato da aggiungere ad un soggetto, non è un normale attributo di una qualsiasi definizione – come ad es. “è grande”, “è piccolo”, “ha quattro zampe”, “è ragionevole”, ecc. – ma al contrario risulta un dato assoluto (o una cosa esiste nella realtà  o non esiste in alcun  altro modo) e pertanto può essere sancita solo tramite l’esperienza. Kant disse: “Se dico: ‘Dio è’ o ‘ C’è un Dio’ allora non attribuisco alcun nuovo predicato al concetto di Dio, ma pongo soltanto il soggetto in se stesso, con tutti i suoi predicati […]. E dunque il reale non contiene niente più del semplice possibile. Cento talleri reali non contengono assolutamente niente di più di cento talleri possibili”. 

L’altro argomento per certi versi affine (si parla dell’idea di Dio come infinito) ma anche difforme (si parte dal mondo finito, dalla mente finita dell’uomo, e non dalla semplice idea di Dio) è quello di Cartesio nella “Terza Meditazione”: Cartesio afferma che trova nella propria mente il concetto di infinità e di perfezione, e poiché la sua mente è ovviamente imperfetta e limitata essa non potrebbe aver escogitato questo concetto con le sue risorse. Conseguentemente, l’idea dell’infinito non può non essere stata immessa nella mente umana da un’altra e più possente mente; tenuto conto che del fatto che l’effetto deve essere commisurato alla causa, tale concetto non si sarebbe potuto formare se una Mente Infinita effettivamente non ve lo avesse posto.
Due critiche sono state fatte a questo argomento:
- il concetto di infinito che abbiamo è comunque un’idea finita: è solo una pura negatività, l’atto di aggiungere una particella di negazione a idee finite; nulla corrisponde ad esso nella nostra esperienza e nulla fa pensare che abbiamo un’idea innata dell’infinito, e quindi nulla impedisce che il nostro cervello basti  a spiegarla.
- Poi, il principio richiedente che la causa sia commisurata all’effetto non ha alcun significato trasparente: non è affatto evidente che vi debba essere almeno altrettanta realtà nella causa quanto nell’effetto (gli atomi non pensano; questo non esclude che siano causa del pensiero, nel nostro cervello). Tale principio non può darci una qualsiasi certezza che l’idea dell’infinito nelle nostre menti debba essere stata prodotta da un reale autore infinito.  

Infine riassumo una delle versioni recenti dell’argomento portato negli ultimi decenni, con lo sviluppo della logica modale, soprattutto dal filosofo  A. Plantinga.
Un essere davvero grande è quello la cui grandezza resta immutabile di fronte al caso. Tale essere non soltanto è grande, ma lo sarebbe stato anche se gli eventi avessero preso una piega diversa. Questo criterio per esempio stabilisce che Napoleone non fu davvero grande perché sarebbe potuto morire d’influenza in Corsica da bambino, anziché diventare adulto e conquistare l’Europa (anzi, potrebbe anche non essere mai nato). Detto questo, l’essere massimamente grande è quello la cui grandezza rimane insuperata in ogni mondo possibile. Se esistesse, si tratterebbe di un essere onnisciente, onnipotente e perfettamente buono. E nessuno stato di cose ne sminuirebbe in alcun modo le sue qualità massimali. Ne consegue che un essere così fatto non potrebbe essere mera contingenza, esistere (come Napoleone) in certi mondi e in altri no. Se un essere massimamente grande esistesse, esisterebbe necessariamente, in tutti i mondi possibili. Chiamiamo “Dio” l’essere massimamente grande. Ora: in genere anche gli atei ammettono la possibilità dell’esistenza di Dio, pur ritenendolo improbabile. Ma sostenere anche solo la possibilità di qualcosa, per esempio che una teiera orbiti intorno al sole, è come dire che in un certo mondo possibile la teiera sta effettivamente orbitando intorno al sole. Così, sostenere che Dio può esistere equivale ad affermare che in un certo mondo possibile Dio c’è. Ma Dio è diverso da una teiera. È per definizione l’entità massimamente grande. A differenza della teiera la sua grandezza – e perciò la sua esistenza – rimane immutata a dispetto di ogni possibilità.  Quindi, se Dio esiste in un mondo possibile, deve esistere in tutti i mondi possibili, compreso il nostro. Insomma, se l’esistenza di Dio è possibile, è anche necessaria.
Questa versione è immune dalla critica di Kant perché non dà all’esistenza il carattere di un predicato o di una perfezione. Ma il problema qui è : Dio è davvero possibile? Oppure, per dirla nel linguaggio dell’argomento ontologico modale, esiste davvero un’esemplificazione  della grandezza massimale? Un essere massimamente grande è quello che, se esiste in una realtà possibile, esiste in tutte. Un monarca massimamente grande sarebbe colui che, se avesse un regno in un angolo dell’universo, regnerebbe sull’universo intero. Ma è chiaro che il concetto di grandezza massimale va oltre il confine di ciò che ci è familiare. Ma allora come facciamo a sapere se è possibile? Infatti non c’è niente di contraddittorio neanche nel supporre che un essere massimamente grande non esista. Quindi, a parità di ragionamento, dev’esserci un mondo in cui la grandezza massimale è assente. Ma se Dio è assente da uno qualsiasi dei mondi possibili, è assente da tutti i mondi possibili, in particolare da quello reale.
 
Questi (e altri) argomenti ontologici sono stati oggetto nel corso della storia di tentativi di riformulazione (tra i più noti, Leibniz, Hegel, e ai nostri giorni Malcom, Godel, Plantinga) e di ulteriori critiche (Tommaso, Pascal, Hume, Kant, Diderot, Frege, Russel, Mackie). Nonostante simili argomenti abbiano resistito ad una confutazione definitiva e vengano di continuo riproposti, occorre anche ammettere che, per le critiche esposte, non riescono a dimostrare l’esistenza di Dio. Rimangono però argomenti aperti. Condivido comunque l’opinione oggi prevalente tra gli studiosi che gli argomenti empirici siano più validi o interessanti di quelli ontologici, per cui saranno maggiormente approfonditi.

BIBLIOGRAFIA

A. Flew-A. MacIntyre (a cura di), Nuovi saggi di teologia filosofica,1969,EdizioniDehoniane Bologna, 1971, pgg.51-54
Aguti A., Filosofia della religione. Storia, temi, problemi, La scuola 2013, pgg. 195-206
Comte-Sponville A., Lo spirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio, 2006, Ponte alle Grazie 2007, pgg. 70-72
Hughes C., Filosofia della religione. La prospettiva analitica, Laterza 2005, pgg. 54-71
Timossi R., Dio è possibile? Il problema dell’esistenza di un’Entità Superiore, Muzzio 1995, pgg. 63-100
Bencivenga E., La dimostrazione di Dio, Mondadori 2009, pgg. 11-39
Holt J., Perché il mondo esiste? UTET 2013, pgg. 135-145
Micheletti M., La teologia razionale nella filosofia analitica, Carocci 2010, pgg. 65-90
Zagzebski L.T., Pensare Dio. Un’introduzione storica alla filosofia della religione, 2007, Edoardo Varini Editore 2012, pgg. 62-68

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