Le religioni dei popoli tribali (o
etniche)
Simili ma non assimilabili alle
religioni della preistoria sembrano essere le religioni dei popoli tribali o
etniche ancora esistenti. Sfidando il tempo e le civiltà sono giunte fino a
noi, sebbene sussistano in una condizione precaria; esse sono ancora diffuse in
molte parti del mondo, ma in via di forte riduzione numerica. In particolare si
possono ricordare le religioni dell’Africa Nera, degli Indiani d’America e
quelle indigene dell’America meridionale, dei popoli artici e di quelli altaici
della Siberia, delle popolazioni aborigene dell’Oceania.
Le credenze e i riti di questi
popoli e di queste culture sono estremamente variegati e non sempre di facile
interpretazione; la vicinanza ormai abituale con altre culture ha recentemente
introdotto varianti difficilmente valutabili. Resta aperto il problema di quale
ruolo giochi e quanto importante sia la religione nella vita di una tribù, sebbene
per lo più si riconosca che essa è onnipresente; ma questa ampiezza potrebbe
anche diluirsi in una mera funzionalità culturale. In ogni caso, per
semplificare, si può ipotizzare quanto già detto per la configurazione delle
religioni preistoriche: tratto comune delle religioni tribali sembra essere
l’estensione della sacralizzazione al regno naturale e la credenza in un essere
supremo, variamente denominato e configurato, assieme ad altre divinità minori.
Considerazioni
sulla credibilità teologica:
vale quanto detto sul sorgere e sulla natura del fenomeno religioso: non
possiamo sapere se le religioni dei popoli tribali siano solo una proiezione o
un prodotto culturale dei bisogni esistenziali e sociali di individui, oppure
siano radicate nell’esperienza o nell’incontro, non meglio tematizzabili, con un divino realmente esistente.
Le religioni del mondo antico
Le religioni del mondo antico -
quelle nell’area mesopotamica e vicino-orientale, in Egitto, nell’Iran
prezoroastriano, quelle degli indoeuropei, della Grecia antica, dei Celti e dei
Germani, della Roma antica, dell’età ellenistico-romana, e le grandi religioni
dell’America precolombiana - si presentano come politeismi (gli déi sono organizzati in un sistema), non hanno
aspirazioni universalistiche né si presentano come “religioni del libro” (in
seguito parleremo dell’”eccezione” di Israele). Questi universi religiosi si
estendono dalla Mesopotamia a tutto il bacino del Mediterraneo sino all’Europa
centrale e settentrionale, e America centrale, per un arco di tempo che è
possibile far decollare dalla fine del IV o dall’inizio del III millennio a.C.
e che si può far concludere nel 380 d.C. (quando la religione cristiana viene
proclamata religione di Stato). Quindi è un fenomeno assai recente se si considerano
i tanti millenni delle culture primitive.
Tra gli aspetti che qualificano la
concezione politeistica la prima caratteristica è costituita dalla dimensione personale del sacro: le varie
divinità non sono simboli di una potenza divina anonima ma costituiscono veri e
propri déi con prerogative, nomi e poteri ben individualizzati. Sia che gli déi
vengano raffigurati sotto sembianze umane, sia vengano visti incarnatisi in
realtà di ordine inorganico, vegetale o animale, sono considerati come dotati di
individualità propria, capaci di intrattenere un dialogo interpersonale con il
credente. Come tali sono oggetto di culto a cui tengono e di cui sono
coscienti. Sono portatori di poteri particolari che elargiscono in maniera
consapevole e libera. Ciò non esclude che convivano talvolta con entità dalle
caratteristiche antitetiche: forze misteriose ed impersonali si pongono talora
accanto, talora al di sopra degli stessi dei (ad es. la moira greca o il fatum romano).
La seconda caratteristica che
qualifica la concezione politeista è costituita dal fatto che gli déi sono gerarchicamente ordinati fino a
costituire un vero e proprio pantheon,
vale a dire una specie di società o città celeste. All’interno del pantheon gli
déi sono subordinati ad un dio supremo che è però dello stesso ordine e grado delle altre divinità. Zeus in Grecia,
Giove a Roma, Marduk in Babilonia, Odino presso i Germani, Ra in contesto
egizio, Tonacatecutli, Itzamma, Inti, rispettivamente presso Aztechi, Maya,
Incas, sono primi tra pari, non già divinità superiori.
La terza caratteristica è costituita
dalla dimensione cosmomorfica, zoomorfica
ed antropomorfica degli déi pagani: le varie divinità vengono rappresentate
attraverso forme desunte dal mondo della natura, degli animali e dell’uomo.
L’analogia include differenziazioni sessuali (divinità maschili e femminili),
prerogative, pregi, virtù ma anche vizi
e difetti delle realtà cui rimandano. Tale tendenza alla raffigurazione
è stata interpretata o come espressione di trascendenza (nel senso che se
nessuna immagine può esaurire il divino allora tanto vale moltiplicarle
all’infinito ed ogni dio verrebbe ad esaltare ogni aspetto della divinità)
oppure sarebbe segno della vicinanza salvifica con cui sono sentiti e vissuti
dal credente (la persuasione che la divinità sia in grado di sopperire ai più
diversi bisogni della vita, da quelli del singolo a quelli della nazione,
determinerebbe il bisogno di moltiplicarne le raffigurazioni in modo da averne
pronto uno per ogni necessità).
I popoli politeisti del mondo antico
non separavano e non distinguevano propriamente la dimensione religiosa dal
complesso delle altre attività umane e sociali, che anzi ne erano pervase e
legittimate. I fattori che hanno portato al sorgere di concezioni politeistiche
sono numerosi, di natura sia interna alla storia stessa delle idee e credenze
religiose (come sviluppi delle credenze di tipo panteistico, mutamento di culti
locali, sostantivizzazione di determinate qualità del mondo divino che
assurgono a realtà autonoma) sia esterna (in particolare di tipo politico).
Controparte simmetrica e fondante dello stato, gli dèi dei sistemi politeistici
sono infatti chiamati a fondare e regolare un cosmo che è sì naturale –
funzioni di divinità iraniche, meteorologiche, solari o lunari, del firmamento,
della terra - ma in cui ormai le forze della natura collaborano e cooperano a
sostenere la vita stessa dello stato – divinità della protezione e della
guerra, della fertilità e della prosperità, della cultura, delle arti e della tecnologia,
della conoscenza esoterica e della magia.
Considerazioni
sulla credibilità teologica:
una prima considerazione riguarda la
concezione degli déi: anche se nella religiosità politeista è presente la
dimensione di trascendenza (dal
momento che gli déi risultano realtà veramente superiori, irriducibili
all’ambito del puro profano, del temporale, dell’umano, del cosmico, del
naturale), caratteristica che non era sempre presente o in modo ambiguo nelle
religioni primitive, tuttavia gli antichi pagani erano ancora incapaci di
vedere riassunte in un unico Dio il
plesso delle perfezioni che competono alla divinità, e se questo è considerato
una prerogativa importante per una matura raffigurazione del divino, allora qui
ne siamo ancora lontani. Così per l’aspetto della vicinanza salvifica: è sì
presente, e sotto forma di divinità vicine alla vita dell’uomo, ma esseri
divini che ricalcano virtù e vizi dell’uomo non possono però farsi garanti se
non di una salvezza modesta di poco al di sopra della portata dell’uomo. La
rappresentazione politeistica della divinità rivela lacune e manchevolezze non
insignificanti. Inoltre il rispecchiamento della struttura della società da
parte del pantheon divino fa emergere quantomeno il sospetto che si è in
presenza dello sforzo umano di rappresentarsi il mondo divino in figura del
mondo umano, il che porterebbe alla conclusione che il mondo divino sia tutta e
sola invenzione umana. Una seconda
considerazione può riguardare il destino di tutti questi déi: cosa ne è stato
di Iside, Amon ra, Baal, Melek, Astarte, Osiride, Hadad e tantissimi altri déi,
un tempo della massima importanza, cinque o seimila anni fa venerati e seguiti
da milioni di persone? Molti di loro sono menzionati con paura e tremore anche
nell’Antico Testamento. Erano onnipotenti, onniscienti e immortali, e sono
morti. Si può anche pensare che sia stato il senso della propria indigenza
radicale, di un impellente bisogno di salvezza che abbia spinto tanti individui
del passato a dare corpo ad indefinite raffigurazioni della divinità, ma questo
ci riporta al problema se al bisogno di salvezza dell’uomo corrisponda una
salvezza reale (vedi le “vie antropologiche a Dio”).

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